Vorrei partire dall’idea che, nonostante il loro crollo, le premesse dei movimenti fascisti continuano a sussistere sul piano sociale, se non anche su quello direttamente politico. Penso in primis alla tendenza del capitale alla concentrazione, dominante oggi come allora, della quale non si può affatto dubitare, per quanto la statistica, con tutti i suoi artifici, tenti di farla scomparire dalla faccia della terra. Questa tendenza alla concentrazione significa, d’altro canto, oggi come allora, che resta sempre possibile il declassamento di strati sociali che dal punto di vista della loro coscienza di classe soggettiva risultano del tutto borghesi, i quali intendono mantenere i loro privilegi e il loro status sociale e, ove possibile, rafforzarli. Questi gruppi hanno sempre la tendenza a odiare il socialismo o ciò che loro chiamano socialismo, ossia danno la colpa del proprio declassamento potenziale non agli apparati che lo producono, ma a coloro che si sono contrapposti in chiave critica al sistema nel quale avevano potuto godere di quello status. Che lo facciano ancora oggi o che questa sia tuttora la loro prassi, è un’altra questione. (…) Nonostante la piena occupazione e nonostante tutti i segni di prosperità, lo spettro della disoccupazione tecnologica continua ad aggirarsi tanto che, nell’epoca dell’automazione – che indubbiamente in Europa centrale soffre ancora di un qualche ritardo, il quale tuttavia verrà presto recuperato –, anche gli esseri umani che si trovano all’interno del processo produttivo in realtà si sentono già – per dirla in modo molto estremo – potenzialmente superflui o potenziali disoccupati.
(…) La singola nazione è straordinariamente limitata nella sua libertà di movimento dall’integrazione nei grandi blocchi di potere. Ma non bisogna trarne la conseguenza affrettata che il nazionalismo, in quanto superato, non giochi più un ruolo chiave; viceversa, accade spesso che alcune convinzioni o ideologie assumano un aspetto demoniaco o autenticamente distruttivo proprio quando non risultano più sostanziali in base alla situazione oggettiva. I processi alle streghe non sono avvenuti nei tempi in cui era in auge il tomismo, ma durante la Controriforma, e qualcosa di analogo potrebbe accadere con il nazionalismo «patico», se così si può chiamare. Già ai tempi di Hitler c’è stato un momento simile, nel quale esso ci è stato rifilato senza che ci si credesse davvero. E questa titubanza, questa ambivalenza tra un nazionalismo ostentato e i dubbi che esso suscita e che tornano a rendere necessario mascherarlo – per convincere nello stesso tempo se stessi e gli altri – era già osservabile allora.
(…) Proprio in rapporto a categorie come quella degli “eterni incorreggibili”, o analoghe espressioni rassicuranti, si sente spesso avanzare la tesi che in ogni democrazia ci sia un nucleo di incorreggibili o folli, la cosiddetta ‘lunatic fringe’, come viene chiamata in America. E qui si cela qualcosa di consolatorio in senso quietistico e borghese, se tale lo si vuole considerare. Io credo che si possa rispondere soltanto: è certo che nel mondo, in ciascuna delle cosiddette democrazie, è possibile osservare con intensità variabili qualcosa di simile, ma solo in quanto espressione del fatto che, fino a oggi, da nessuna parte la democrazia si è concretizzata in modo effettivo e completo dal punto di vista del contenuto economico-sociale, ma è rimasta sul piano formale. E, in questo senso, i movimenti fascisti potrebbero essere indicati come le piaghe, le cicatrici di una democrazia che non è ancora pienamente all’altezza del proprio concetto.
(…) Lasciatemi spendere ancora qualche parola a proposito della resistenza. Credo che la tattica di fare tutto “zitti zitti”, cioè di far passare queste cose completamente sotto silenzio, non abbia mai funzionato e oggi il modo in cui si sono evolute è già arrivato a un punto tale da rendere impossibile metterla in pratica. Ribadisco che sono consapevole che il radicalismo di destra non sia un problema psicologico o ideologico, ma altamente reale e politico.»
Theodor W. Adorno, Aspetti del nuovo radicalismo di destra