Martedi 14 maggio, alle 18, presso il bar Verdi di Salerno, sarà presentato il libro “Oltre la cronaca” della giornalista e critica teatrale Luciana Libero, Del testo, che raccoglie gli articoli della Libero pubblicati nel triennio 2013-2016 sul blog del quotidiano La Città (all’epoca edito dal Gruppo l’Espresso), parleranno Maurizio Del Bufalo, Claudia Pecoraro, Andrea Pellegrino e Pino Vuolo. Pubblichiamo, qui di seguito, la prefazione al volume di Andrea Manzi, che è stato fondatore e primo direttore del quotidiano La Città.
Negli ultimi dieci anni, la crisi della stampa quotidiana si è aggravata, tant’è che alcuni studiosi e analisti parlano di post-giornalismo. Una funzione civica, ritenuta insostituibile per la democrazia, sarebbe stata travolta da due vizi capitali: la frivolezza maliziosa dei contenuti e la subalternità strutturale alla politica o a poteri comunque condizionanti. Il secondo gap è stato considerato per decenni il più grave. Luigi Einaudi, nel libro cult dal titolo icastico (“Il Buongoverno”), immaginava una possibile svolta positiva per l’informazione quotidiana ma soltanto alla dura condizione di «non accettare quattrini da nessuno e fare fuoco con la propria legna». Un’autarchia necessaria per un affidabile profilo etico dell’informazione, che i decenni successivi hanno visto scomparire. Quelli di Einaudi erano già i tempi del prezzo politico dei giornali e delle generose provvidenze, facce speculari di una politica di intervento pubblico limitativa della autonomia del prodotto. I giornali hanno così smesso di narrare la politica e hanno cominciato a “fare” politica, le oligarchie economiche si sono messe in proprio proclamandosi editori (un eufemismo definirli soltanto “impuri”), ragion per cui la libera stampa è diventata – ai vari livelli, dai fogli nazionali alle gazzette locali – un luogo di potere più che un osservatorio affidabile di inquadramento della realtà. Ne è scaturita una formazione precaria degli operatori e un conseguente reclutamento avvilente dei cronisti, destinati ad operare in modelli il più delle volte ibridi, non caratterizzati né da qualità né da autorevolezza di proposte. E così si sono ristrette le platee dei lettori, orientate – da circa vent’anni – ad approvvigionarsi al giacimento indistinto di una rete straniante.
Sono questi i motivi per cui la gradita sorpresa della raccolta di scritti di Luciana Libero, pubblicati nel triennio 2013-2016 dal blog del quotidiano La Città, all’epoca del Gruppo l’Espresso, ha riportato la mia mente alla possibilità, anche in tempi tanto difficili e ostici, di una informazione autonoma rispetto agli altri poteri, nella scia dello scalfarismo d’antan che Giovanni Bechelloni icasticamente definì “giornalismo moschettiere”, popolare e non demagogico, elitario e libertario ma non sensazionalistico, con una lente fissa sulla realtà (anzi, appiccicata ad essa) e lontana dalla fabbrica di illusioni delle idee di chi scrive.
Luciana, in questi scritti, smentisce quindi il tormento di Norberto Bobbio sul limite che ha segnato e ancora avvilisce l’intervento degli intellettuali sulle pagine dei giornali (“sanno benissimo come la società italiana dovrebbe essere, ma non sanno assolutamente com’è”), confermando che l’impegno civile degli uomini di pensiero possa non essere di ostacolo alla modernizzazione della democrazia ma al contrario riesca ad alimentarla, soccorrerla, sostenerla anche nei momenti più aspri delle rivendicazioni per i diritti violati.
I giornali locali, d’altra parte, sono nati proprio per attivare percorsi di rinnovamento nei mercati della notizia, esaltando le vocazioni relazionali di piccole comunità, in genere estromesse dai perimetri dell’industria culturale “nordista”, ma convinte di dover costruire reti di presidio territoriale articolate, interroganti e, se possibile, contro-argomentative. Furono queste le chiavi di volta del successo della Città, già sei anni dopo la fondazione (1996), al punto che la testata vinse in pochissimi anni, partendo dal nulla, il durissimo confronto, nel territorio salernitano, con il maggiore quotidiano del Mezzogiorno, sconfitto sul piano diffusionale in tutte le aree della vasta provincia. Una profonda gioia per chi, come me, ebbe l’intuizione di fondare quel giornale e quella azienda, ma soprattutto l’indicazione che vi fosse lo spazio per nuove modalità interpretative della professione e del mercato di riferimento.
Luciana Libero in quegli anni non era ancora dei nostri e svolgeva il suo lavoro di opinionista e di critica teatrale in grandi testate del Centronord, allenata quotidianamente a rappresentare la società italiana nei termini analitici e prospettici del cambiamento e dello sviluppo. I suoi mezzi? Incontri simmetrici con la realtà e incursioni costanti negli spazi culturali e sociali, senza mai indulgere a quel distorto professionismo giornalistico che ha caratterizzato spesso l’approccio intellettuale al piano dell’informazione. Avrebbe trovato, Luciana, al suo rientro nel brontolante Meridione delle attese infinite e dei nuovi padroni, un giornale particolare, appunto La Città, diretto nel frattempo da sensibili ed esperti colleghi, del quale ha condiviso subito la modalità di approccio alle complesse e disarticolate realtà quotidiane. All’inizio delle pubblicazioni, un direttore editoriale del Gruppo l’Espresso, Maurizio De Luca, sintetizzò così la mission salernitana, alla quale avevamo lavorato con solerzia e partecipazione critica: «Ci sono giornali che guardano verso le istituzioni per capire cosa dire ai cittadini, e giornali che guardano i cittadini per capire che cosa chiedere alle istituzioni, e non solo a loro. La nostra testata di Salerno appartiene alla seconda categoria». Un tacito patto con i lettori, questo sottolineato da De Luca, che troverete in questo volume di Luciana Libero, ispirato dalla prima all’ultima pagina al doppio modello di focalizzazione sia territoriale che di contenuti, dal teatro al cinema, alla vita difficile e osteggiata dei movimenti, al costante ridimensionamento delle aspirazioni popolari in ossequio ai padronati simil-progressisti, fino alle pagine più controverse di Salerno e della sua vasta provincia. Interventi nati “oltre la cronaca” ma dentro le sue nuove potenzialità, utilizzando gli stimoli tipici del blog che sono quelli di fare opinione al di fuori del circuito tradizionale, pur senza mai trascurare l’imparzialità e l’accuratezza della informazione. Negli Stati Uniti, intorno al 2009, alcuni anni prima del debutto come blogger di Luciana, si sviluppò un intenso dibattito sui rischi di tale produzione giornalistica, soprattutto quando l’autore era un giornalista legato a vario titolo alla testata di riferimento. Il blog – si osservò – sovverte l’informazione, in genere non argomenta, non esibisce fonti, polarizza i messaggi sulla figura di chi scrive, interessato prevalentemente a fare opinione. Se il blogger non opera a titolo personale ed è un giornalista che scrive per la testata di riferimento, potrà prescindere dall’etica professionale, si chiedevano Oltreoceano? Gli americani, si sa, sono bravi nel precorrere i tempi e inventare percorsi informativi d’avanguardia, ma sanno anche lacerarsi con inquietudini paralizzanti. Le risposte furono varie, nacquero Carte di doveri per l’attività di blogging, sia negli Usa che ovunque, ma la materia resta tuttora in parte controversa.
Luciana Libero, però, a fronte dei newyorkesi tormenti etici, è una garanzia per la blogosfera. Non ha fatto mai ricorso a informazioni non controllate per raccontare le sue storie ed è rimasta ancorata al pensiero delle idee chiare certificate dalla propria coscienza, evitando in ogni sua attività intellettuale o giornalistica il “riscaldamento” oltre misura delle proprie convinzioni. Nell’era del post-pensiero e della video-politica (temutissimi dal professor Giovanni Sartori, che descrisse questa deriva nel celebre “Homo videns”), Luciana è rimasta fedele al saggio equilibrio della scrittura tra logos e pathos, anche quando la sua voluttà civica e le lotte ingaggiate contro le ottuse dilatazioni di poteri onnivori e pervasivi l’hanno indotta ad emotivizzare il racconto politico per rompere le cappe di oppressione e aprire varchi ad attesi, irrinunciabili percorsi di verità. Una professionista, come questi testi dimostrano, in cammino oltre i confini dell’ovvio, solo in compagnia dei suoi lettori che non tradirebbe mai.