Panegìmo leggeva e rileggeva,/con umile e dolce frenesia,/quei tre versi, e più li leggeva,/più constatava che l’intero sangue/dei poeti passati, e dei futuri,/in quei tre versi s’era radunato,/e come se le mani invisibili/di tutti loro, avessero spinto/e guidato la sua, a tracciare/quella doppia dozzina di parole./Panegìmo pensava: “Questo fiore/ha radici profonde e misteriose,/e tuttavia sono io lo stelo/che lo sostiene : a me tocca fare/che non vada perduto, e non si guasti.”/Panegìmo sapeva che, per quanto/scritta in fondo a grotte sacrali/o sulla cima di vette remote,/isole estreme o celle ergastolane,/la poesia è per gli occhi del mondo,/come sarebbe il sole, anche se nato/da una passera ignara sopra un nespolo. Roberto Piumini, Il Panegìmo e altri poemi, Scalpendi, pag. 235.
Se ci si vuole rinfrancare con la letteratura questi poemi di Piumini potrebbero essere un’affabile occasione. Il libro consta di tre prodigi – Panegìmo o la perfetta poesia, Nemau che traghettava, Il mascheraio innocente – uno più bello dell’altro. E tutti, una volta iniziati, si leggono fino alla fine con un’avidità che non ha una precisa configurazione se non quella di essere un desiderio, una fame incontenibile, un’ingordigia che raramente capita in questi tempi bui, dove la letteratura, salvo poche eccezioni, fatica a farsi leggere, tanto è piena di sé così com’è avara di pudore o di compostezza, di modestia o di misura. Con Piumini, autore prolifico quanto coltivato in una sobrietà e semplicità, elementarità e purezza, si entra in un mondo ai confini della realtà per non volerne più uscire. Qui la letteratura somiglia ai nostri sogni, alle nostre immagini più chiare, più compiute, più intere.
Si entra in un mondo magico, fiabesco, o in quell’incanto della parola cui pochi maestri hanno accesso. E Piumini, con certezza, è uno di questi. Uno dalla fantasia straripante e inquieta. Tuttavia, un’immaginazione che non lascia malessere, anzi che si abbandona alla scrittura come alla lettura – al gioco della scrittura, si sa, corrisponde il gioco della lettura – per lasciarsi alle spalle quella parte del reale che più si presta all’oblio, al malinteso, all’inesattezza, al silenzio. Insomma, evadere dal reale è cosa ardua ma Piumini lo fa con una naturalità travolgente e inusitata. Il segreto? Forse, la felicità di una letteratura che crede nella magia. Una letteratura che crede nella capacità di creare attrattiva. Magia è appunto lo stupore che ci fa allontanare per un attimo il dispiacere, l’amarezza, o l’angoscia. Ogni cosa, ogni essere, scrive Agamben, ha, oltre al suo nome manifesto, un altro nascosto, al quale non può non rispondere. Essere mago significa conoscere ed evocare questa parola. Il nome segreto è in realtà il gesto con il quale la creatura è restituita all’inespresso. Che la letteratura non sia questo? Questa parola, in breve, che dice dell’indicibile, non è la stessa parola della letteratura? Il dire della letteratura non è questo luogo felice, allora, dove il gesto ripete il suo sortilegio nell’invenzione del nome, o della parola? Quest’azione, Piumini che è un maestro come pochi, la svolge nella maniera più soave e semplice possibile.
Panegìmo è un poeta che ha scritto tre versi di una bellezza inaudita e ora vuole che essi siano pubblicati. A tal fine si mette in viaggio per raggiungere le Edizioni Stellari che stavano nella città di Gabadas, lontana un paio di migliaia chilometri. Nemau, invece, è un traghettatore che collega due territori divisi da un fiume. La sua chiatta unisce nella parte più vicina le due sponde. Questo, più che il denaro o l’attenzione dei pochi passeggeri, gli importava l’idea e il gesto di un buon servizio. Tutto ciò fino all’arrivo di una donna misteriosa o figura imperscrutabile. Il mascheraio innocente, infine, è un abilissimo artigiano che costruisce maschere di una perfezione incredibile. Era accaduto a una festa che Bamberto tale era il nome del maestro artigiano, aveva invitato gli ospiti a decidere fra quale delle due facce fosse quella falsa: la sua, o la maschera che aveva fatto indossare a un servo uguale a lui nella corporatura. Bamberto che viveva in una terra chiamata Mardavia aveva così raggiunto una tale notorietà che una contessa aveva espresso il desiderio di una maschera per la festa di Carnevale. Bamberto che non si era mai mosso dal suo luogo di origine, decide di accettare l’invito della contessa e con il suo fidato cavallo si mette in viaggio per raggiungerla a corte e costruirle la più bella maschera che si potesse desiderare.
Tre storie, tre narrazioni, o scritture poetiche unite nel segno di una letteratura dove il ritmo del tempo si sospende in una cronaca che è lirica e allo stesso tempo accadimento di allegorie e immagini traslate in un gioco sorprendente e avventuroso. Si entra e si esce dal mondo incontrando altri mondi. In più c’è il gioco della pagina bianca, o pagina di sinistra, dove è possibile trascrivere altre storie o altri azzardi possibili. Al di fuori di questi testi, in pratica, è possibile trascrivere altri testi o interventi di qualsiasi ordine si preferisce. Sarebbe un altro testo o un altro libro, dove l’autore ci ha invitato al ricco gioco della letteratura e dei suoi dintorni. È possibile anche, come spesso accade, non trascrivere nulla, soddisfatti di un libro che per essere tale consiste già di molti altri testi. Un libro di poesia, un poema, o tante sventure non fanno altro che erigere la letteratura, una quinta insidiosa quanto fantastica o ingannevole. Panegìmo, il poeta distrugge i suoi versi. Nemau, il traghettatore s’innamora. E Bamberto, il mascheraio innocente si salva rocambolescamente da una sicura condanna a morte. Ciò che si scrive equivale a ciò che si crede. Il gioco continua. E di questo siamo grati a questo mirabolante narratore.
[Roberto Piumini, Il Panegìmo e altri poemi, Scalpendi, pag. 235]
Roberto Piumini (Edolo, Brescia 1947) vive a Milano, è uno scrittore, poeta e autore televisivo italiano. Ha pubblicato, presso molti editori, racconti, romanzi, raccolte di poesie, poemi. Suoi testi di poesia e prosa fanno da compendio a libri d’illustrazioni e fotografie. I suoi lavori sono tradotti in più di venti lingue.