Nessuno vola sul nido del cuculo, salute mentale all’anno zero

Alle difficoltà generali della sanità italiana si aggiunge, nel campo dell'assistenza psichiatrica, un malinteso liberismo e aziendalismo, che spesso servono a coprire le inefficienze, le pigrizie burocratiche, l’assenza di empatia. Se questa è la situazione generale che già lamentava nel 2003 il Forum della Salute mentale promosso, tra gli altri, da Peppe Dell’Acqua, di gran lunga più grave è la situazione in una città come Salerno dove liberismo e aziendalismo sono diventati gli alibi per una progressiva riduzione dell’assistenza fino all’omissione della cura

Tempo di lettura 5 minuti
Dopo 50 anni, con la caduta in basso dell'assistenza psichiatrica, tornano scene e fantasmi del passato

Nei giorni scorsi Resistenze Quotidiane ha riaperto lodevolmente il discorso sulla salute mentale grazie ai servizi e alle inchieste di Luigi Ferrara. Una questione annosa che a cinquanta anni dalla Legge Basaglia sembra essere tornata indietro rispetto alle importanti conquiste degli ultimi decenni e precipitata negli anni bui dei manicomi. Come lamentato anche negli articoli, il dibattito sul tema spesso non riesce a venir fuori dalle questioni teoriche, certamente importanti per la ricerca scientifica ma del tutto ininfluenti nel miglioramento dei servizi per gli utenti e le loro famiglie. Gli utenti e le loro famiglie parlano poco, hanno scarsa dimestichezza con i media e anche quando si organizzano in gruppi o in associazioni ben presto diventano, anche per ovvi motivi, lontani dalle situazioni difficili. Chi infatti si trova a districarsi nei labirinti dei DSM o degli SPDC (Dipartimenti di salute mentale e Servizi psichiatrici di diagnosi e cura) perché si occupa di un familiare con questi problemi, ha esigenze molto concrete e anche piuttosto semplici: ascolto, risposte ai bisogni, offerte di cura e di assistenza, in una parola, aiuto.

Se il “liberismo”

copre inefficienze

Spesso invece si trova a combattere – e la parola non è casuale – con insormontabili ostacoli che negli ultimi anni, in particolare nel nostro sud, stanno toccando punti molto bassi nella qualità dell’assistenza. Alle difficoltà generali della sanità italiana si aggiunge, nel campo della salute mentale, un malinteso liberismo e aziendalismo che spesso servono a coprire le inefficienze, le pigrizie burocratiche, l’assenza di empatia. Se questa è la situazione generale che già lamentava nel 2003 il Forum della Salute mentale promosso, tra gli altri, da Peppe Dell’Acqua, di gran lunga più grave è la situazione in una città come Salerno dove liberismo e aziendalismo sono diventati gli alibi per una progressiva riduzione dell’assistenza fino all’omissione della cura. La salute mentale salernitana, pur presentando sulla carta numerosi e molteplici servizi affiancati da una miriade di cooperative e gruppi privati, offre giri tortuosi e kafkiani, delle vere e proprie sliding dors, porte girevoli che non approdano a nulla e producono unicamente frustrazione. I centri offrono al massimo colloqui, o terapie long acting quindicinali (iniezione a lento rilascio); scarse se non inesistenti visite domiciliari, nullo l’inserimento in strutture, nemmeno quelle governate direttamente dalla Asl.

Logiche privatistiche

e scarsissimo ascolto

Nel documento del Forum, si denunciavano le logiche privatistiche e la mancanza di ascolto dei Centri rivolti all’evitamento della presa in carico; il facile ricorso al Trattamento Sanitario Obbligatorio, dove il paziente è bombardato di farmaci e, se ne esce vivo, torna a casa come prima senza alcun progetto di vita e abbandonato ai familiari e a se stesso. È esattamente quanto avviene con il DSM salernitano dove, dopo anni di inutili tentativi, dopo mesi di richieste per l’inserimento in una comunità di doppia diagnosi, arriva la proposta ad una non meglio precisata comunità in provincia di Lecce. Eppure non mancano comunità di migliore accessibilità in vari posti del paese oltre quelle della provincia di Salerno, come Terrafutura a S, Arsenio o di Sala Consilina, rivolte a una decina di pazienti, accolti non si sa bene secondo quali criteri. La tendenza è infatti questa, creare microstrutture agili per quei pochi pazienti a bassa problematicità psichiatrica, come a Mariconda con i disturbi alimentari, o a S. Arsenio per la doppia diagnosi e il resto dei pazienti che si arrangi . Nelle strutture a doppia diagnosi si entra con un progetto in sinergia tra Serd e Dsm e inoltre con un budget di cura; l’inserimento richiede oltre la volontà del paziente una serie di incontri e colloqui preliminari, un programma condiviso tra comunità, famiglia e paziente; un iter già di per sé molto complesso che certo non è agevolato se si devono raggiungere comunità sperdute a centinaia di chilometri di distanza.

La meritoria azione

di Peppe Dell’Acqua

Molte delle inchieste più avvertite – come è il caso di quella affrontata dal magazine –  esprimono la critica scientifica alla psichiatria o anche riguardano gli aspetti normativi della Legge Basaglia, della sua applicazione e delle possibilità di intervenire nuovamente sulla legislazione; vedi la meritoria azione che sta conducendo da anni proprio Dell’Acqua. Alcuni psichiatri inoltre stanno cominciando a porre e a porsi scomode domande sulla scientificità delle diagnosi del manuale DSM (che è arrivato al numero 5 e non fa che aggiungere nuove patologie) o sulla efficacia dei farmaci, rompendo quel “conformismo psichiatrico” che non va oltre l’applicazione di Tso, utilizzo massiccio di terapie long acting o,  nei casi migliori, l’accoglienza in case alloggio, gruppi appartamenti e strutture di vario genere affidate al misto pubblico privato, in ogni caso per un numero esiguo di pazienti, spesso ghetti e sulla cui qualità poco sappiamo.

Sconosciuta

la socialità

Poco, pochissimo si fa, sotto l’aspetto della socialità, dell’inserimento lavorativo, dei servizi concreti di aiuto alle famiglie, operatori sociosanitari, educatori, tecnici della riabilitazione, visite a domicilio e tutte quelle pratiche che richiedono un maggiore impegno degli operatori; i quali hanno un’unica  grande preoccupazione, scansare i problemi, tutelarsi da eventuali contestazioni. Certamente le difficoltà non sono irrilevanti, pochi operatori, scarsi incentivi ma questo non giustifica la più totale inerzia verso qualsivoglia iniziativa che vada di poco oltre la routine. Né, parlando di liberismo, il servizio sanitario campano privato offre molta scelta per una residenzialità anche privata dove vi sia cura e attenzione per le persone. Ci si concentra sulla scarsità delle risorse, le quali si trovano facilmente per attivare iniziative spesso estemporanee e improvvisate. Tuttavia grazie a questa ampia azione della pubblica opinione, si assiste alla nascita di servizi innovativi quasi sempre al di fuori dei percorsi istituzionali tradizionali. È il caso del Progetto Itaca, nato da alcuni partners internazionali: Fountainhouse/Clubhouse International, NAMI e Fondazione Italiana Accenture che promuove un’altra idea di cura, club di accoglienza in varie città italiane secondo un modello del tutto inedito che punta sull’inserimento e non sulla “malatizzazione”.

Quel messaggio

dai Club Itaca

Le strutture dei Club Itaca non sono strutture sanitarie, ma club sociali dove lavorano operatori, volontari e utenti, coinvolgono migliaia di persone in progetti di socializzazione, ergoterapia, inserimento lavorativo, un progetto indicato dall’Oms come un esempio di approccio positivo, basato sui diritti e incentrato sul recupero. È una risposta, almeno nelle città in cui sono stati attivati alle domande poste anche dalla inchiesta di RQ a proposito del libro di Gilberto Di Petta come quella conclusiva: “come mai, nel 2024, il pregiudizio, la miseria dei servizi, l’ignoranza da pensiero unico, caratterizzano la cultura delle istituzioni e dei servizi?”.

La postmodernità

diventata fasulla

A questa “miseria” si aggiunge l’applicazione di una fasulla postmodernità che fa sì che nei servizi salernitani ci si occupi di tutto tranne che dell’accoglienza reale degli utenti; che si promuovano iniziative culturali, mostre, laboratori senza che in queste iniziative vengano coinvolti gli utenti, nemmeno invitati; e che le comunità sbandierate come centri di eccellenza, non siano aperte all’utenza. Anche il sistema misto privato delle cooperative non è da meno; cooperative riunite in forti consorzi (la Rada, Rete Solidale) non aprono alle proprie strutture né offrono servizi a pagamento; gli operatori con cui ci si incontra non si rivolgono mai all’utente ma al medico o al familiare e rispondono candidamente che prima di essere accettati nelle proprie strutture è necessario fare un percorso in una comunità (non nelle loro); alcune più volenterose accettano utenti che vengono mandati via al primo segnale di disagio, nessuna offre corsi,  percorsi di inserimento lavorativo non essendo in alcun modo collegate alle organizzazioni imprenditoriali, ai Centri per l’impiego, o ad altri organismi di domanda e offerte di lavoro.

Piani terapeutici

“ad uso interno”

Quelle poche strutture che coinvolgono i pazienti nell’attività (come Stalker o Capovolti) operano in provincia e quasi sempre con lavori nel settore agricolo. E se qualche paziente volesse fare altro? Il processo “postmodernista” di cui parla l’inchiesta di RQ, viene inteso nell’Unità operativa di salute mentale salernitana con una “accoglienza” sbrigativa e rapida, alquanto infastidita, dove vige la colpevolizzazione dell’utente e dei suoi familiari, i piani terapeutici sono “ad uso interno” cioè non visibili, e il dirigente del servizio è disponibile per pochi minuti solo per chiedere perentoriamente decisioni rapide. A Salerno sembra di essere tornati al clima di quel bellissimo film di Forman, “Qualcuno volò sul nido del cuculo” e alle modalità intimidatorie dell’indimenticabile infermiera Mildred Ratched. Era il ‘75, tre anni prima della Legge Basaglia, da allora sembra passato un secolo ma la salute mentale resta all’anno zero.

 

Previous Story

Quei falsi miti del calcio: caso Iervolino & dintorni

Next Story

Olindo e Rosa, torna in onda l’Erba-show