Nella Storia di Elsa i conti aperti degli umili

La regia della Archibugi ci ha restituito le voci del popolo, il grammelot di Useppe, la sua celestiale dolcezza, l’asfissia dei rifugiati, la ‘umanità’ dei cani Blitz e Bella. Ci ha parlato, all’interno di un crudo realismo a tratti però magico, così com’è nel libro, dell’orrore della guerra e della fame, della giovinezza sconfinata e tragica di Nino, dell’amore sacro di una madre

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E così come tanti anni fa mi aveva appassionato e turbato la lettura de La storia di Elsa Morante, al punto che ne avevo ricavato un mantra che mi recitavo nei momenti bui: “è uno scherzo uno scherzo è tutto uno scherzo” (è quanto canta nelle pagine del libro un uccellino dalla piccola gola rosea, forse uno storno. Gli occhi turchini di Useppe ne rideranno…), così in questi giorni mi ha molto emozionato la visione della serie televisiva per la Rai, trasposizione cinematografica del romanzo, regia di Francesca Archibugi.

Non so come abbia fatto la Archibugi, che è anche una dei quattro sceneggiatori, a svolgere in otto puntate la trama di un romanzo così corposo (665 pagine), che si compie negli anni 1941-1947, dunque durante la seconda Guerra mondiale e poi nel dopoguerra.
Pubblicato nel 1974 con la Einaudi, in una edizione che la Morante volle economica, tradotta in ben venti lingue diverse, La storia è considerata uno dei cento libri più famosi e letti di tutti i tempi.

L’autrice, che scriveva sin dagli anni della sua giovinezza e molto produsse, all’età di 29 anni sposò Alberto Moravia (matrimonio durato 26 anni), e curò nella sua vita l’amicizia con grandi scrittori e poeti come P.P.Pasolini, Sandro Penna, Umberto Saba, Enzo Siciliano. Aveva una personalità molto forte che difficilmente declinava. I più ritengono che ogni scritto contenga, implicite o no, note autobiografiche. Ciò vale sicuramente anche per Elsa, in tutti i suoi lavori rimasta sempre un po’ fedele alla sua autobiografia. Crebbe nel quartiere romano popolare del Testaccio, figlia di Irma, una maestra modenese di origine ebraica, e del siciliano Augusto, istitutore in un riformatorio per minorenni, che diede il cognome a lei e ai fratelli Aldo, Marcello e Maria, ma non era il vero padre. Il loro padre naturale, pure lui di origini sicule, si chiamava Francesco Lo Monaco e lavorava alle Poste. Frequentava casa loro come ‘zio’. Morì suicida. La Morante, cui secondo Marcello, divenuto anch’egli scrittore, la madre rivelò la verità quando aveva 14 anni, e che secondo lui potrebbe essere l’unica vera figlia di Augusto, non amava toccare questi argomenti, anzi si contrariava molto se qualcuno ne accennava. Nonostante ciò Marcello li ha invece narrati senza alcuna remora. Del resto, da quei fatti erano trascorsi molti anni. Sono stati raccontati anche nel libro ‘Elsa, la sua storia inizia qui. Viaggio nelle radici siciliane della scrittrice Elsa Morante’, scritto a più mani da studiose di origine siciliana.

La loro madre Irma sposò Augusto Morante conosciuto a Bologna e rimase incinta di lui, ma il neonato morì. Successivamente, quando Francesco Lo Monaco prese a frequentare casa loro, rimase ancora incinta e nacquero Elsa, Aldo, Marcello e Maria. Augusto aveva ambiguità sessuali, ma non potendo a quei tempi dichiararle, lasciò che la moglie e l’amico si amassero e accettò i loro figli come suoi.

Elsa tenne sempre molto al lato siculo delle sue origini, e nella sua vita ebbe lunghe frequentazioni con omosessuali come Pasolini, Penna, Luchino Visconti. Quanto contasse in questa scelta l’omosessualità paterna non è dato sapere. Fu anche una donna molto passionale, Elsa, che alla fine del suo matrimonio con Moravia si legò a un pittore newyorchese molto più giovane di lei che morì precipitando da un grattacielo. In questa circostanza la scrittrice cominciò a dare i primi segni di cedimento psichico, gli stessi che si presentarono anni dopo quando scoprì di essere seriamente malata. Nel 1983 tentò il suicidio, ma venne salvata da una domestica. Fu ricoverata in una clinica e nel 1985 morì d’infarto. Il suo libro più famoso è senz’altro La storia, ma è con L’isola di Arturo che nel 1957 si aggiudicò il Premio Strega.

La regista Francesca Archibugi ha raccontato di essere sempre stata legata, sin dalla sua giovinezza, al romanzo La storia e di avere voluto fortemente questa serie, ma è riuscita nel suo intento solo grazie all’aiuto di validissimi collaboratori, a cominciare dagli sceneggiatori Giulia Calenda, Ilaria Macchia, Francesco Piccolo.

Solo grazie a una squadra competente e determinata si è potuti riuscire nell’intento di dare adeguate immagini alle pagine di Elsa Morante. La chat di lavoro aveva come titolo: ‘tutti per Elsa’.
Dalla scrittura del testo all’uscita della serie, ci sono voluti due anni e mezzo di duro lavoro, un’infinità di scene e molte risorse economiche. Ma le motivazioni della Archibugi e compagni erano troppo forti, quindi sono andati avanti a oltranza. Hanno girato nei quartieri popolari di Roma Testaccio, Pietralata e naturalmente San Lorenzo, dove inizialmente vive la famiglia protagonista della storia, e poi anche a Napoli e ad Anagni. La trattoria dell’oste Remo, Valerio Mastandrea, è una storica trattoria romana, che un tempo riceveva soprattutto i fagottari, cioè clienti che andavano lì per bere vino ma portandosi il loro cibo. Esiste ancora oggi e si chiama ‘Da Marcello’.

La Storia, che ha per protagonista una donna che subisce uno stupro e deve tirar su da sola i suoi figli, non è solo una storia attuale, ma contemporanea.

E ci piace cha a narrarla cinematograficamente sia la Archibugi, una donna che per sua affermazione nessuno ha mai chiamato Maestro (titolo usato per tutti i registi di sesso maschile). Solo Monicelli, suo insegnante di cinematografia, la chiamava Maestro, nonostante all’epoca lei fosse molto giovane. Forse aveva intuito le sue capacità. E ne aveva ben ragione, visto che la Archibugi è riuscita a tradurre cinematograficamente un romanzo ‘impossibile’. Lei ci ha restituito le voci del popolo, il grammelot di Useppe, la sua celestiale dolcezza, l’asfissia dei rifugiati, la ‘umanità’ dei cani Blitz e Bella. Ci ha parlato, all’interno di un crudo realismo a tratti però magico, così com’è nel libro, dell’orrore della guerra e della fame, della giovinezza sconfinata e tragica di Nino, dell’amore sacro di una madre.

A chi le ha chiesto se aveva visto la precedente serie/film dedicati a La storia, perché ci fu anche un film successivo, di Comencini, Francesca ha risposto che ha preferito di no. Il paragone avrebbe potuto condizionarla, schiacciarla, quindi ha preferito di no.
Il suo desiderio, ora che è in onda, è che le persone si appassionino alla narrazione cinematografica, fedele a quella del libro per quanto più si è potuto.

Il messaggio è lo stesso: la storia, coi suoi grandi attori, stritola l’uomo, ma infine sono gli umili che la fanno. Un plauso a un cast di eccezione, con Jasmine Trinca perfetta nella parte di Ida, così Francesco Zenga, (di Nocera Inferiore) nella parte di Nino, Mattia Basciani nel ruolo indimenticabile di Useppe, Valerio Mastrandrea nella parte dell’oste Remo, uno stellare Elio Germano nel ruolo di Eppetondo.

 

 

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