“Orribile notte”. Inizia con queste parole la canzone “Baghdad 1.9.9.1” del gruppo rap Assalti frontali. La canzone fu pubblicata nel 1992 e parla della Prima guerra del Golfo. La notte è quella dell’avvio dei bombardamenti sulla capitale dell’Iraq, tra il 16 e 17 gennaio 1991, da parte di una coalizione di 35 Stati guidati dagli USA in risposta all’invasione del Kuwait decisa dal presidente iracheno Saddam Hussein nel mese di agosto del 1990: l’operazione fu chiamata “Desert Storm” (Tempesta del deserto).
Le ragioni dell’invasione e le molteplici conseguenze di quella guerra, che formalmente si concluse a fine febbraio con la resa del presidente Hussein e la liberazione del Kuwait, sono state studiate da chi si occupa di storia. Incerto è il numero di morti diretti durante le operazioni belliche, ancora più incerto è quello del numero di persone uccise da sanzioni ed embargo decennale per mancanza di cibo, medicine e cure sanitarie. Quello che è sicuro è che quella guerra non finì, fu ripresa prima nel 1998 e poi, su larga scala, nel 2003, e che fu devastato un paese, mentre per i venti anni successivi gli Usa si imposero come l’unica potenza militare mondiale, passando anche per le torture sistematiche di Abu Ghraib e l’incarcerazione senza accuse di presunti terroristi a Guantanamo.
Qui voglio ricordare non solo la spettacolarizzazione della guerra che fu inaugurata proprio in quella notte – cantano Assalti Frontali: “sarà una guerra lampo già dal 16 gennaio / che come uno spettacolo va avanti l’evento / invocato, tanto atteso davanti ai teleschermi” – ma anche la quasi totale unanimità che la accompagnò: davvero un coro con una sola voce. Quasi tutti i giornali (tranne “Il Manifesto” e pochi altri giornalisti), tutte le reti televisive e tutti i telegiornali stavano con gli aerei dell’alleanza a guida americana che bombardavano l’Iraq, mentre tra i partiti in Parlamento, l’allineamento al Governo fu quasi assoluto, con distinguo da parte del Pds (l’ex Pci), e l’opposizione di Rifondazione comunista.
Soprattutto, voglio ricordare che molte persone in quei giorni si rivoltarono. Ci furono manifestazioni continue in diverse parti del mondo. Da un lato, le notti scorrevano con le luci di quello che l’inviato de Il Manifesto Stefano Chiarini definì lo “spettacolo dei traccianti”[1]. Dall’altro lato, i giorni erano scanditi dalle mobilitazioni. Una parte della popolazione rimase annichilita, in silenzio, abbagliata dalle luci dei bombardamenti senza apparenti distruzioni: tanto è vero che la propaganda militare parlò, per la prima volta, di bombe intelligenti (“smart bombs”). Un’altra parte della società – minoritaria, ma non risicata – rispose con le manifestazioni, con la presa di parola, con il conflitto e la richiesta di pace.
Il coro senza intoppi dell’apparato politico-televisivo non riuscì a produrre un consenso o un’indifferenza assoluti. L’opposizione politica, collettiva e di piazza si fece sentire. In Italia, una giovane generazione, anche a seguito del movimento universitario de La Pantera, si ritrovò a fare politica. Io avevo 17 anni e, sostenuto anche dalla formazione familiare, di fronte alla violenza totale dei bombardamenti in televisione contro una popolazione con poche difese, lessi e vissi quegli accadimenti come un accanimento, un’ingiustizia profonda: “una guerra chiamata pace”, secondo il titolo di un libro dello studioso Dario Paccino, pubblicato nel 1992. Come me, tante altre persone, giovani in molti casi. Fu l’irruzione di una nuova generazione politica. Accadde nel 1991. Probabilmente, sta accadendo anche oggi, nei movimenti di solidarietà con la popolazione palestinese.
[1] https://ilmanifesto.it/baghdad-1991-la-notte-delle-bombe/