Il nostro compito: l’interruzione del filosofare? Ovvero la fine della metafisica in base al domandare originario del “senso” (della verità) dell’Essere. Vogliamo andare alla ricerca dell’inizio della filosofia occidentale. La filosofia occidentale comincia nel sesto secolo prima di Cristo presso il piccolo popolo relativamente chiuso e totalmente indipendente dei greci, i quali com’è ovvio non ne sapevano nulla di “occidentale e “Occidente”. Questa espressione è in primo luogo un concetto geografico, in quanto delimitazione rispetto all’Oriente, all’orientale e all’asiatico. In secondo luogo, però, “occidentale” è un concetto storico che intende la storia e la civiltà dell’Europa attuale, cominciata con i greci, e soprattutto con i romani, il cui sviluppo fu essenzialmente determinato dal cristianesimo ebraico. Se i greci avessero saputo di questo futuro occidentale, non si sarebbe mai pervenuti a un inizio della filosofia. Romanità, ebraismo e cristianesimo hanno completamente mutato e falsificato la filosofia degli inizi – cioè la filosofia greca. Martin Heidegger, L’inizio della filosofia occidentale, Adelphi, pagg. 313. A cura di Peter Trawny e Giovanni Gurisatti.
Si tratta del corso tenuto da Heidegger sull’interpretazione di Anassimandro e Parmenide – di cui questo volume riporta la trascrizione del manoscritto originale e altri materiali relativi – del semestre estivo del 1932 presso l’Università di Friburgo. Come ci dice il curatore italiano di questa pregevole edizione adelphiana, queste lezioni rappresentano una vera e propria cesura nel percorso filosofico heideggeriano dopo “Essere e tempo”. Una rottura iniziata nel 1930 con il saggio “Dell’Essenza della verità” che segna la celebre svolta (Kehre), dove sarà iniziale e fondamentale per Heidegger, e per chiunque abbia voglia di approcciarsi alla filosofia, la domanda sulla verità dell’Essere. Un’interrogazione che pervaderà l’intera esistenza del filosofo di Messkirch fino al suo capolavoro finale “Contributi alla filosofia. (Dall’evento)”, libro pubblicato per la prima volta in Germania nel 1989 a cura di Friedrich-Wilhelm von Hermann e nel 2007 in Italia, sempre da Adelphi con la cura di Franco Volpi. Dopo “Essere e tempo” (1927), d’impianto per lo più aristotelico, quindi, si passa ai pensatori aurorali: Eraclito, Anassimandro e Parmenide. Via l’esperienza metafisica di Aristotele e Platone e avanti con una chiarificazione premetafisica della filosofia che Heidegger individua nei presocratici a partire proprio da un’esplicitazione del concetto di verità non più legata alla ομοίωσις perché “conformità”, “corrispondenza”, “adeguatezza”, ma all’ἀλήθεια perché disvelatezza originaria. Verità è ciò che si disvela velandosi. Heidegger dice che per i greci è essenziale non tanto la successione causale quanto, in generale, il farsi avanti, in quanto fare la propria comparsa. In breve, l’apparire. Senz’altro l’ente, ma l’essere dell’ente che appare, si dà alla presenza, nella sua svelatezza velata. È dunque nel modo dell’apparire che tutto questo (il fenomeno del mondo così com’è stato descritto) è sorto, e così rimane ancora adesso, e d’ora in poi crescerà e perverrà alla sua fine. Allora però gli uomini hanno fissato i nomi (le parole con cui si discorre), attribuendo a ciascuna cosa quello con cui essa si mostra. Questo frammento di Parmenide, tradotto da Heidegger e riportato sia nella Metafisica di Aristotele sia da Teofrasto, rimanda apertamente la domanda fondamentale e banale: Che ne è dell’essere? Che ne è dell’essenza dell’essere? E nello stesso tempo afferma l’essenzialità dell’ente in una prospettiva di attraversamento e di appropriazione di una meditazione sull’essenza originaria della verità che riposa ancora nel suo inizio velato. “L’inizio della filosofia occidentale” costituisce dunque il primo tentativo, da parte di Heidegger, di dare risposta a quell’accadimento che ha fatto sì che si deviasse fatalmente da quell’esperienza fondamentale e originaria dell’ἀλήθεια per una consuetudine, ormai già presente nelle teorie di Platone, di oblio e trascuratezza e quindi di un deragliamento semantico verso i meno oscuri termini di ομοίωσις (conformità) e ορθοτες (correttezza) che hanno, di fatto, avviato e chiuso la via dell’Essere in funzione dell’ente. In “Che cos’è la metafisica”, Heidegger scrive: ciò che deve essere indagato è l’ente soltanto, e sennò – niente; solo l’ente e oltre questo – niente; unicamente l’ente e al di là di questo – niente. Che ne è di questo niente? Ecco, non ci si può non occupare del niente come non si può eludere la domanda sull’Essere. Uscire dalla metafisica, in altre parole, e da tutta quella filosofia che parte da Platone e attraverso Cartesio arriva a Hegel. È il compito di chi vuole riiniziare l’inizio. Un’incombenza semplice quanto abissale dice Heidegger. Gli ultimi insegnamenti di Heidegger, di fatto, sono racchiusi nella sua più esoterica e potente opera che sono i suoi “Contributi alla filosofia”. Libro pubblicato postumo, e nel quale si evidenzia sia il totale smarrimento (oblio) dell’Essere sia il totale fallimento delle filosofie sistematiche. Pensare l’Essere è meditare la domanda essenziale. Anassimandro, scrive Heidegger, ci parla dell’ente nel suo insieme, ci dice com’è essenzialmente l’essere. Ente ed essere sono sostanzialmente differenti. E questa differenza è la più originaria di tutte le differenze. La meditazione sull’Essere da parte di Heidegger costituisce il punto nodale di ogni pensare, ed è proprio da questi corsi trascritti in “L’inizio della filosofia occidentale” che il filosofo tedesco inizia la più iniziale delle sue interrogazioni. I filosofi presocratici saranno la sua ossessione. Tuttavia niente più potrà fermarlo. L’urgenza di dare una spiegazione alla questione dell’Essere e del senso dell’Essere sarà il tentativo più imponente e grandioso della sua filosofia e della filosofia del Novecento. Chi vuole seguire Heidegger, allora, può iniziare da questo libro sebbene sia, come giustamente nota Gurisatti, ancora esplorativo e preparatorio. Il sentiero è arduo, ma la strada è evento. Filosofia: trovare e portare in luce le semplici vedute e le figure familiari in cui l’essenziale presentarsi dell’essere è messo in salvo ed elevato nei cuori.
Martin Heidegger, L’inizio della filosofia occidentale, Adelphi, pagg. 313