L’utopia concreta della poesia di Luigi Fontanella

Nei suoi versi, la traiettoria di una progressione drammatizzata (in cui la stessa fruttuosa coesistenza di slancio visionario e di aderenza a un più concreto attrito con le cose permette un’ulteriore “spinta” in avanti al movimento turbinoso della scrittura) è fondata sul tempo, sul suo misterioso e infrenabile accadere

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Luigi Fontanella, Dell’ultimo orizzonte. Poesie scelte (1970 – 2021), Interlinea edizioni, Novara, pp. 352.

Dell’ultimo orizzonte (Interlinea editrice) è un bellissimo volume che presenta un’ampia selezione delle poesie di Luigi Fontanella. Non è un libro di “pezzi” sovrapposti e inglobati in un contenitore frastornato, privo di un piano o di una struttura fondante o di un suo specifico rigore costruttivo. Il movimento della scrittura poetica di Fontanella non è mai, d’altronde, anarchicamente parcellizzato o atomizzato; bensì è sempre di tipo lineare e orizzontale (procedendo, con forza, nella direzione di una lavica, serrata sequenza interrompibile mai; e, anzi, di continuo rigermogliante…). C’è in questo “movimento”, infatti, la capacità ininterrotta di un’evoluzione concertata, la sensazione della presenza di un solido perno che tutto concentra e che tutto predispone; ma la stessa consistenza di questo “perno”, di questo fortissimo “centro” costante non permette, in ogni caso, automaticamente, di dissodare il terreno di una previsione che riguardi l’esatto perimetro di quella nervosa, pulsante linearità costruttiva che prima abbiamo rilevato. E a proposito di questa interna propulsione a un ideale “legato” musicale: cosa sappiamo di essa? Forse solo che è continua e progressiva: essa nasce da una remota stazione di partenza e si dirige in modo consequenziale, lucido, diretto, tuttavia escludendo la comoda possibilità di definire e delimitare (o anche soltanto di intravedere), con certezza, la meta finale verso la quale tende (è un’incertezza stupita che fa dire al poeta, con un vivido senso del paradosso: «L’illusione è precisa / la vita un istante»…).

La traiettoria di tale progressione drammatizzata (in cui la stessa fruttuosa coesistenza di slancio visionario e di aderenza a un più concreto attrito con le cose permette un’ulteriore “spinta” in avanti al movimento turbinoso della scrittura) è fondata sul tempo, sul suo misterioso e infrenabile accadere. Eppure, il percorso della parola poetica di Fontanella non sembra mai rivolto a uno, in particolare, dei “segmenti” temporali (passato, presente, futuro): esso descrive, più misteriosamente, una realtà che è “sempre” e “ovunque”.

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Ogni storia, qui, esposta o rievocata o immaginata, ridisegna e confonde i parametri della ricezione dell’ora presente, dell’emergere della memoria e della oscura, ma nebulosa, pulsione a immaginare ciò che ancora deve accadere: è, insomma, il tempo franto e bivalente – multiplo e spezzato – di una tensione visionaria in cui la stessa componente tematica del “viaggio” (motivo e simbolo tenace della poesia fontanelliana) non va presa, crediamo, in senso ingenuamente letterale (e biografico) ex toto, ma anche, e forse soprattutto, in modo più implicito e indiretto, più riflesso e traslato. Perché è il linguaggio stesso della poesia a tradursi, voglio dire, in viaggio: e le vicende e i sentimenti riferiti non provengono da alcuna smania diaristica né da banali rigurgiti di confessione personalistica; intendono, bensì, testimoniare l’impossibilità illusiva di catturare le stesse forme dell’identità e del tempo, la loro irriferibile sostanza (ossia la loro estrema mutevolezza e impermanenza…). Fontanella, dunque, non narra né descrive didascalicamente: fotografa un moto incessante, un’apertura – sempre mobile – sul possibile e sull’eventuale, riuscendo a trasferire sempre la pura registrazione-testimonianza dei fatti su di un piano di potente allusività metaforica.

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Ora, la capacità di far divenire la scrittura stessa un viaggio, un itinerario sì metamorfico e libero, ma mai gratuitamente fine a sé stesso o confuso, consente di leggere questa antologia riassuntiva come un libro compatto e uniforme, perché l’energia che lo attraversa non fa mai rilevare, in chi legge, estreme fratture o dispersioni interne (anche nelle scelte formali), né fa avvertire il pericolo di una troppo pronunciata antitesi tra il particulare e la storia. Ciò che si sente, infatti, in questi versi, ha una complessità invece dialettica e profondamente totale e totalizzante: l’io del poeta e l’io del lettore diventano, a poco a poco, un “noi”, un “essere insieme”, un percorso comune, un’adesione fortemente corale, pluralistica, all’esperienza dell’esistenza: «Ristabiliamo le distanze / fra ciò che è sempre stato imminente / e il vuoto che ci è accanto»…; (e ancora, evocando-pregando i suoi Lari: «Voglio essere te, padre, e te, madre, / angelo che afferri a colpo sicuro / le proprie ali»…).

Ed è appunto questa speciale e originale caratteristica (tra l’altro costante, nella poesia di Fontanella), dico il cangiare e il tramutare dell’ “io” in un “noi”, che si può rilevare non soltanto la forza centrifuga, ma anche la coerente e profonda coesione strutturale di tutte le sillogi poetiche pubblicate da Fontanella in questi anni: si ha, infatti, l’impressione che viva, in esse, un unico grande respiro, un solo potente sguardo regolare e continuo.

Parlavamo, prima, dell’assenza di rimarchevoli spaccature o disuguaglianze nelle varie fasi della lingua poetica fontanelliana. Ciò è registrabile anche nei primi e più remoti versi (1970 – 1979; telluricamente vitalissime, in particolare, le prosepoesie di Sleeplessness), certo apparentemente più estrosi, liberi e “irrazionali” (e vicini, comunque, a una visione poematica più spericolata che sembra attenta, in particolare, allo stordimento dell’incongruo, del sospeso, dell’assurdo irrelato): già lì, dicevo, si può notare una tendenza a costruire una linea rigorosa e conseguente, il cui scopo è quello di ‘attraversare’ i fatti della vita, per poterli raccontare come un simbolico e in fondo incomprensibile spettacolo sempre “aperto” e in fieri…

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Il lato irrazionale della scrittura di Fontanella spunta in modo sottile e imprevedibile: giacché esso è accompagnato, dal punto di vista delle soluzioni formali, dall’evidente volontà di non estremizzare il linguaggio poetico, di non trasformarlo in un gioco a sé stante. Perciò, il lettore vedrà qui presentati e registrati dal poeta, con un acceso senso dello stupore, accadimenti non risolvibili o apertamente univoci, né davvero compiutamente comprensibili o “sanabili”: e ciò con il sostegno di un impianto formale sostanzialmente trasparente ed equilibrato, in cui non entrano i funambolismi, le digressioni o le forzature linguistiche e formali della pseudoneoavanguardia o delle fragili e fintamente astute trappole del neoanticlassicismo: Fontanella dimostra che si può, insomma, mostrare (e raccontare poeticamente) l’incongruo e lo sfuggente anche senza il ricorso a smaccati estremismi e contorsionismi della lingua. Ma la “naturalezza” di questa apparentemente cristallina scelta comunicativa può trarre in inganno. Molti testi di Fontanella, ad esempio, sono stati intesi, unilateralmente, come di natura “narrativa”. Crediamo, invece, che la “narratività” di certi componimenti del poeta salernitano non sia ascrivibile a un troppo semplicistico orizzonte di tipo prosastico o pseudo romanzesco: noi vi leggiamo caratteri più vicini allo straniamento della narrazione teatrale e, non di rado, cinematografica. La stessa pluralità e la grande varietà delle scene “riprese” in non poche poesie fanno pensare, infatti, a impostazioni visive e a soluzioni di tipo filmico (con sorprendenti campi lunghi e grandi carrellate sapientemente alternate a potenti – e mai tuttavia forzati o invadenti – primi e primissimi piani…); si legga per intero, a questo proposito, un testo poetico tratto da Viaggiare il viaggiare, in cui lo sguardo del poeta, insieme ampio e circolare, ma anche sottilmente dettagliato, plana dal campo lunghissimo al particolare al dettaglio, per poi riprendere quota e infine offrire, all’occhio del lettore, nell’ultimo verso, la visione di un angoscioso, fermo e spaziosissimo campo lungo: «L’immagine del lago ghiacciato / stamattina ha figurato dal nulla / una giovane e bianca pattinatrice / poco lontano un vecchio in bicicletta / l’attraversava pian piano a tutto tondo. Era / l’aprirsi lento di un fiore / una rosa già frantumata in sabbia / il nano e la lucertola /immobili e attoniti / su un immobile sahara di ghiaccio».

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Il controllo sulla materia formale è certamente esemplare. Si tratta, però, di un sorvegliamento mai cauto e pacificante, ma sempre vigile e vivo, che non sacrifica lampi o combustioni di tagliente, inquietante ambiguità: ché la realtà vista da Fontanella appare, simultaneamente, vicina e “straniera”, familiare e obliqua. La “persona” che si mostra è anche (lo ricorda il suo stesso etimo) una maschera; è uno e il suo contrario: uno e il suo sosia altro, parallelo, mostrificato…

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Evidente, infine, è la capacità, nel poeta, di far camminare insieme (sino a congiungerli e a riassumerli in una efficace unità sintetica) l’estroversione immaginifica – dunque la visione “artistica” dell’esistenza – e la rilevazione pura e distaccata degli eventi rósi dalla memoria e sempre fantasmaticamente risorgenti, giungendo insomma a tradurre la stessa trasparente ambiguità del linguaggio poetico in una sorta di interminabile peregrinazione che è, senza tregua, mobile e trasfigurante: sì da trasmutare, allora, il gioco forte e profondamente umano della scrittura in una sorta di utopia concreta dove il sogno, divenuto per qualche istante una realtà quasi tangibile e acutamente sensoriale, si ritrasforma o si capovolge in una nuova costruzione dell’immaginario, o in una impreveduta, e rinata, chimera destabilizzante e ricreatice.

Mario Fresa

(Salerno, 1973) è docente, traduttore e consulente editoriale. Ha collaborato o collabora alle principali riviste culturali italiane, tra le quali «Paragone», «Caffè Michelangiolo», «Nuovi Argomenti», «Almanacco dello Specchio» e «Poesia». Tra i suoi ultimi lavori, il romanzo Eliodoro (Fallone editore, 2022) e la raccolta poetica Il mantello di Goya (Einaudi, 2023).

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