Una mia cara amica mi scrive: «Scorrono fiumi di sentenze e gente che scrive di tutto ma sarebbe interessante sentire anche uno psicoanalista…. Io grossolanamente penso che la donna se viene lasciata si strugge, si dispera, va in analisi, patisce, sopravvivendo, al suo dolore, l’uomo non accetta di patirlo. E stermina la vittima e talvolta anche se stesso. (Anche l’uomo più insospettabile). E forse anche l’uomo che prima ha amato davvero… Chissà quali dinamiche. Mi piacerebbe pubblicasse una sua interpretazione di questo “gesto/reazione” maschile».
Di fronte all’ orrore di un femminicidio credo non sia facile, per uno psicoanalista, intervenire, senza correre il rischio di sconcertare i luoghi comuni. Per questo, penso che gli psicoanalisti preferiscano tacere. E invece dovrebbero avere il coraggio di dire, di intervenire, perché servirebbe a molto.
Non è facile – dicevo – perché – almeno per quello che penso – di fronte all’orrore anche su di uno psicoanalista prevale il lato umano che, inevitabilmente, come avviene per tutti, lo spinge a mettersi – giustamente, doverosamente, dolorosamente – tutto quanto dal lato della vittima, così come non può che essere: nessuna comprensione per il carnefice, nessun attenuante, anzi – ne sono un fermo fautore – il massimo della pena, senza se e senza ma.
Al contempo tutta l’umana, accorata piétas deve essere rivolta alla vittima, alla donna che ha pagato con la vita solo per il fatto di essere stata una donna, ed essere donna significa anche, talvolta, purtroppo, non riuscire a proteggersi dal “troppo amore” che arriva a dare al proprio uomo.
Tuttavia, uno psicoanalista deve saper andare anche oltre e non rinunciare a mettersi anche dalla parte della verità, della verità che è nel fondo della psiche umana e che può arrivare a far sì che non sia solo l’amore a legare un uomo e una donna tra di loro, ma anche quella pulsione distruttiva e mortifera che Freud ha chiamato “pulsione di morte” e che s’impasta purtroppo, spesso anche troppo, con la pulsione di vita, che invece spinge all’amore.
Ne consegue che i legami d’amore sono, in effetti, come lo stesso Freud capì, e come la cronaca ci dimostra così spesso, un impasto, di Eros e Thanatos, di Amore e Morte, un impasto che riguarda entrambi, tanto l’uomo, quanto la donna, anche se diversamente combinato e diversamente manifestato tra l’uno e l’altra.
Per questo, e ritornando alle osservazioni della mia cara amica, io non penso che esista una differenza così netta e radicale tra come affrontano e soffrono una separazione le donne e come invece l’affrontano e soffrono gli uomini, e cioè che mentre “la donna se viene lasciata si strugge, si dispera , va in analisi , patisce, sopravvivendo, al suo dolore, l’uomo non accetta di patirlo. E stermina la vittima e talvolta anche se stesso”.
Non esiste una così netta differenza perché, in effetti, se, sospendendo un attimo quella spinta umana e giusta a disporci sempre e necessariamente dalla parte della vittima di cui dicevo, ci sforziamo di metterci dalla parte della verità, possiamo renderci conto che, intanto, esistono sia donne che uomini entrambi capaci di soffrire, di affrontare una separazione, ugualmente disposti a chiedere aiuto, e che tutto ciò non è affatto appannaggio delle sole donne.
Come pure ci accorgeremmo che esistono anche donne assolutamente incapaci di affrontare le separazioni e di chiedere aiuto, non essendo affatto, tali incapacità, appannaggio dei soli uomini.
Piuttosto, ciò che spesso esiste, tanto negli uomini, quanto nelle donne, è proprio l’incapacità a fare le sole cose che servono: mettere fine ad una relazione d’ “amore tossico”, scappare da partner capaci di amare solo “crudelmente”, potendo – è bene saperlo – non solo un uomo, ma anche una donna, crudelmente amare!
Nelle coppie – anche questo bisogna saperlo – non esistono, se non solo apparentemente, un carnefice da una parte ed una vittima dall’altra , ma solo complici inconsapevoli.
Per questo, senza saperlo, le donne sono troppe volte disposte a sopportare di tutto – per amore, dicono – pur di restare, fino a morirne, con uomini che pensano di amare e che invece farebbero bene a lasciare, e a smettere di continuare a prendersi in giro da sole, illudendosi di poterli “cambiare con il proprio amore”: un’illusione che, più che restituirle all’amore di uomini incapaci di amare, le condanna al martirio.
Per le donne l’amore può essere pericoloso perché, inconsciamente, per molte, morire per un amore sbagliato può essere più attraente di vivere per un amore giusto.
Per molte donne un abbandono può essere perfino più devastante della morte: molte non lo sanno, ma dovrebbero arrivare a saperlo.
Le donne, quando amano, sono più prossime al limite estremo di resistenza al desiderio dell’uomo, perciò dovrebbero imparare ad amare proteggendo e rinforzando questo limite.
C’è un limite al desiderio di un uomo che le donne dovrebbero saper imporre.
E gli uomini, dal loro canto, sono tenuti a sapere che l’amore di una donna si ottiene solo nel rispetto assoluto di questo limite.
L’amore impone un limite e non consente a nessuno il diritto di superarlo.
L’amore è essenzialmente una questione di etica, e non può farne a meno. L’etica del rispetto per sé e per chi si ama: da entrambe le parti.
Gli uomini sono più irresponsabili perché sono stupidi se così facilmente accettano di disporsi dal lato del carnefice pur di convincersi di poter così fare di una donna un oggetto di proprietà.
Come esistono uomini violenti, esistono però anche donne impossibili, terribili, capaci di distruggere un uomo lentamente, progressivamente, ma inesorabilmente, donne “fatali” che comunque nessuno ha giammai il diritto di uccidere, ma dalle quali quegli uomini che v’incappano, farebbero bene anche loro a scappare, e a gambe levate, piuttosto che lasciarsi “uccidere a rate”, o di rischiare a loro volta di uccidere la loro persecutrice facendo di essa una martire e di sé stessi degli spietati assassini.
È giusto che un uomo così stupido da mettersi nella posizione del carnefice sia duramente punito, e anche col massimo della pena, ma, spesso, le donne che arrivano a fare del loro partner un carnefice e di sé stesse delle martiri non sono meno stupide.
Basterebbe scappare, esattamente come, nel bellissimo film di Paola Cortellesi “C’è ancora domani“, le donne del 1946 hanno saputo farlo – e in che modo – dai loro stupidissimi uomini/padroni.