Letizia Brugnoli è una voce raffinata ed intensa che inizia la sua attività a 17 anni con il coro polifonico ‘Kronos Fonè’. Inizia poi lo studio di Ear Training (pratica di allenamento dell’orecchio) con il pianista e compositore Bruno Aragosti ed entra a far parte del ‘Vocal Jazz Quintet’, proponendo brani tratti dal repertorio originale dei Manhattan Transfer e dello stesso Aragosti. Perfeziona la tecnica vocale sotto la guida del tenore Jean Paul Pointet e frequenta le lezioni della cantante Jazz Diana Torto, presso il Conservatorio A. Boito di Parma. Partecipa a vari Workshop tra i quali quello di Kris Adams e del grande Bob Stoloff (agosto 1952 di New York è un musicista jazz ed insegnante americano per voce, tromba, pianoforte e percussioni vocali, nda), insegnanti della Berklee School di Boston. Gli inizi dell’amore per il jazz, lo swing e le sonorità latino-americane (in particolare quelle di Jobim), la portano a collaborare con il ‘Teatro del Tempo di Parma’ e con vari gruppi, tra cui i ‘Sones’, i ‘Koko’ e gli ‘Essential Quintet’; maturando così una vasta esperienza. Il suo principale insegnamento, dunque, le viene dall’ascolto di infinite ore di jazz, cercando di cogliere ogni sfumatura. Il suo primo album è del 2014: ‘Through our Life’, «Qui vi sono quattro brani inediti scritti insieme a Roberto Sansuini, che ha anche curato anche tutti gli arrangiamenti della track list» – dice. Nell’anno successivo la sua personale versione del brano ‘Summertime’ le permette di aggiudicarsi i ‘Parm Awards’. Nel 2017 pubblica ‘A Fresh Delight (you bring me)’ con l’importante casa discografica ‘S&S Records’ di Chicago. È nominata per ben 4 volte ai Grammy Awards. A luglio 2022 pubblica con ‘TRJ Records’ il singolo ‘Un’estate fa’. Ad ottobre di questo anno, per la ‘Irma Records’, viene pubblicato il suo ultimo album ‘Crystal Flower’.
È una maledetta abitudine quella di inquadrare la musica per generi e così possiamo definire “Crystal Flower”, un disco di jazz. Non un jazz per puristi o amanti della sperimentazione, ma piuttosto per tutti coloro che hanno semplicemente voglia di ascoltare musica con attenzione. Volutamente, i brani sono stilisticamente eterogenei e vanno dallo swing ai brani di derivazione brasiliana fino al latin con influenze dell’electric-jazz.
Il tuo primo album, ‘Through our Life’, risale al 2014: dopo 9 anni, viene fuori il tuo nuovo lavoro: “Crystal Flower”, com’è cambiata la musica e soprattutto la “Tua musica”?
Il disco nasce casualmente mentre ero in macchina, aspettando, in inverno e quindi al freddo, un cambio gomme. Il maestro Sansuini, qualche giorno prima mi aveva inviato una traccia musicale di quello che poi sarebbe diventato ‘Tire Change’, uno dei brani, e l’ho trovato così allegro e giocoso, di sapore brasiliano e mi ha colpito immediatamente. Così in quelle due ore e mezza di attesa per cambiare le gomme dell’auto, mi sono messa a scrivere il testo; un testo che non centra niente con la giocosità, l’allegria e il calore della musica, ma racconta semplicemente l’attesa del mio cambio gomme. Questa cosa l’abbiamo trovata molto divertente. Dopo nove anni, che sono volati, c’era venuta voglia di fare un nuovo album. Il primo, ‘Through our Life’, conteneva 4 brani inediti: due ‘soli’, uno di Claudio Tuma alla chitarra e un altro di Marco Ferri al sax, mentre il resto erano standard jazz riarrangiati, da Sansuini, con strumenti elettronici. Quindi sostanzialmente si trattava di un album con musica prevalentemente elettronica. Crystal Flower è stato concepito con nuovi musicisti e soprattutto veri. È un progetto che si può trasferire tranquillamente su palco, dove si potrà ascoltare la stessa sonorità dell’album. Quindi, per sintetizzare, si può dire che ‘Crystal Flower’ è registrato con musicisti veri e quindi con brani riproducibili nei live.
Ma come ti sei avvicinata alla musica?
Per me si è trattato di qualcosa di naturale: mio padre era un musicista e la nostra casa, di conseguenza, veniva frequentata da molti artisti, vedevo strumenti e microfoni ovunque e la mia infanzia l’ho passata in questo ambiente. È stato quasi fisiologico che anch’io iniziassi a fare qualcosa con loro. La scelta del jazz invece è stata casuale: a casa ho trovato una cassetta dei Manhattan Transfer, l’ho ascoltata e mi è piaciuta così tanto che ho deciso di scegliere questo genere musicale. Il caso ha voluto che al mio paese, Borgotaro, vicino Parma, ci abitasse un fisarmonicista di jazz, un musicista abbastanza famoso, Bruno Aragosti. Lui, che lavorava nell’orchestra della Rai, mi ha dato le basi per fare jazz, facendomi innamorare ancora di più di questa musica. Poi, con il tempo, ci sono stati anche altri personaggi che mi hanno aiutato a crescere musicalmente, tra cui Giorgio Gaslini, il famoso pianista e compositore, venuto anche lui ad abitare a Borgotaro e con cui spesso capitava di vederci e confrontarci. Direi insomma che per me fare questo mestiere è stato molto naturale.
Hai avuto spazio per ogni sfumatura vocale ed interpretativa ed i musicisti hanno potuto esprimersi in modo sempre vario ed eclettico. Cimentarsi con generi diversi è stata una stimolante sfida non solo per loro, ma anche per il compositore ed arrangiatore, Roberto Sansuini. Che tipo di concerti ami fare, quello dei festival, delle rassegne con grande pubblico oppure quelli più intimi dei Jazz Club?
Il Jazz Club ha sempre avuto un suo fascino, è un posto raccolto e le persone vengono per ascoltare, in silenzio, te e la tua musica. I festival più grandi sono molto belli, più attrattivi e permettono di far ascoltare a più gente la tua musica; di contro sono anche molto più dispersivi ed è un pubblico diverso rispetto a quello dei Club. Personalmente preferisco i jazz club, ma come è ovvio cercherò di cantare ovunque sia possibile, anche perché in questo momento il mio obiettivo è quello di pubblicizzare al massimo il nuovo album: “Crystal Flower”.
In questo album tutti i brani sono stati scritti ed arrangiati da Roberto Sansuini, i testi, sia in italiano che in inglese, scritti da Letizia Brugnoli. Cosa senti di dire di questo album?
Il disco è dedicato a mio papà Franco Brugnoli, musicista e giornalista, scomparso nel maggio 2021. A lui principalmente devo il mio amore e la mia passione per la musica. ‘Agua de Maio’ è stata scritta per lui ed è sempre una grande emozione cantarla. Anche in ‘Shadows’ parlo di lui e di quanto quotidianamente mi manchi. Molti testi dell’album hanno quindi carattere autobiografico, altri invece sono stati scritti immaginando il punto di vista di un ipotetico protagonista. Roberto Sansuini mi aveva inviato le tracce dell’album e le partiture anni fa, io ho aggiunto i testi con molta calma devo dire, ma sono nati in modo naturale. quando probabilmente era il momento giusto. In fase di registrazione sono poi state apportate alcune modifiche, sono nate belle improvvisazioni, ci siamo cuciti addosso il vestito per così dire. Il risultato trovo che sia un album ricercato e sincero al tempo stesso.