Non conosco persona che non ami Battisti, né momenti di aggregazione musicale dove non si cantino le sue canzoni.
C’è chi ha studiato a fondo la sua musica e chi semplicemente la canta.
Ma io desidero ripercorrere un po’ la sua vita (anche se a lui forse non piacerebbe), per poter rispondere alla domanda che mi sono spesso rivolta, quando lo dicevano antipatico e scontroso: in sostanza, chi era Lucio Battisti?
Tanto per cominciare, un aretino di Poggio Bustone, nato nel 1943. Battisti il padre e Battisti anche la madre. Della sua infanzia, poco si sa. Chi ha indagato in questa direzione, è rimasto sempre deluso. Poche cose: un bimbo tranquillo, con problemi di eccesso di peso (per questo a scuola un po’ bullizzato), e tanta fantasia. Un ragazzo che serve messa e parla di diventare prete.
Gli inizi difficili
da autodidatta
Comincia presto a suonare – da autodidatta – la chitarra, che una volta suo padre gli rompe in testa. Vuole per lui studi più ‘consistenti’. Ma Lucio va per la sua strada, e quella non prevede più del diploma di perito industriale, diploma che prende perché papà Alfiero, invalido di guerra, lo ricatta: se non ci arriva, lui non firma la sua richiesta di esenzione al servizio di leva.
Dunque fu perito, ma solo sulla carta. In pratica, non fu altro che musicista, o meglio: cantautore, abile polistrumentista, arrangiatore, produttore discografico. Più di ogni altra cosa, fu un grande sperimentatore musicale. Nella sua carriera vendé più di 25 milioni di dischi, risultando amato persino da David Bowie e Paul Mc Cartney.
A soli ventitré anni, grazie al felice incontro col paroliere Mogol, con cui si crea un mega-sodalizio durato quindici anni, rivoluziona la canzone tradizionale e melodica, e successivamente dà anche una significativa svolta al pop-rock italiano, addentrandosi in tanti generi musicali (rhythm and blues, prog rock, elettropop, latino, new wave, disco music, folk, soul, beat…).
Osannato dalle rockstar
ma odiato dai critici
Pensate: la rivista Rolling Stone italiana posiziona Battisti al terzo posto, appena dopo i geni De André e Morricone.
Ma investighiamo. In realtà Battisti in vita non risulta sempre apprezzato dalla critica, anche quando vende tanti dischi, anzi. Nel 1972 è addirittura accusato da Riz Ortolani di scopiazzare, da Augusto Martelli di essere un dilettante e un pallone gonfiato. Aldo Buonocore definisce la sua voce una lagna, Fabrizio Zampa le sue esibizioni una saga della stonatura e dell’approssimazione.
Il suo successo discografico, e il mistero che gravita attorno a lui, che non si fa vedere, fanno sì che i giornalisti gli diano la caccia, ma per loro (e forse anche sua) sfortuna, lui è molto schivo, e si defila. Da lì comincia ad essere perseguitato, apostrofato come burbero, tirchio, apatico… omofobo!
Il 25 marzo 1973 nasce a Milano suo figlio Luca, avuto da Grazia Letizia Veronese, detta Velezia, che da lì a tre anni diventa sua moglie. È un giorno lieto, ma dura poco. L’indomani, la rivista Sogno pubblica un articolo che parla di un suo presunto flirt con l’attrice di cinema erotico Zeudi Araya. Battisti ha moti di ulteriore chiusura.
Il 27 marzo, cioè appena due giorni dopo la nascita del figlio, due paparazzi penetrano nella clinica dove lui si trova con la famiglia e cominciano a sparare foto all’impazzata. Battisti si barrica.
In risposta, la stampa parla di un uomo che ‘ha paura della sua ombra’ e continua a spiarlo, scoprendo così che si sta facendo costruire una villa a fianco a quella di Mogol, in un bosco di faggi, a Molteno in Brianza (detto dormitorio dei ricchi, dove vivrà per il resto della vita). Lo accuseranno addirittura di riempire casa sua di provviste per non uscire, invece i suoi compaesani lo vedono ogni mattina che va a fare la spesa e compra il giornale, gentile con tutti.
La persecuzione
dei paparazzi
Vero è che con l’evento dei paparazzi in clinica, e con quello di due anni dopo, un tentato rapimento del figlio da parte dell’anonima sequestri sarda, accade qualcosa di definitivo. Lucio smette di esserci, se non per la musica. Dice di preferire l’olio di ricino alla tv. Si allontana definitivamente dalla vita pubblica e dalla stampa, dichiarando, in un’ultima breve intervista: ‘Non parlerò mai più. Un artista deve comunicare solo per mezzo del suo lavoro’. E così fa, coerente al punto da rifiutare un’intervista ad Enzo Biagi e un’esibizione chiesta da Gianni Agnelli. Non appare nemmeno più sulle copertine dei suoi album. Ovviamente, la sua onestà intellettuale viene scambiata per saccenza.
Negli stessi anni, lascia il suo stile precedente, viaggia ed esplora. La sua orchestrazione si fa più composita e stratificata, fa ampio uso di sintetizzatori. Il suo rapporto con Mogol termina, pare senza litigi, ma con definitivo distacco. Ora cerca testi più criptici. Per questi, si avvale della collaborazione di sua moglie, paroliera e compositrice, alla cui cattiva influenza è dovuto, secondo i più, il suo allontanamento dagli amici, dal pubblico.
Si è negli anni 81-85 e lui sembra viva un periodo spensierato, grazie anche alla pratica del windsurf e al rapporto con Adriano Pappalardo. Di notte ama guardare le stelle col telescopio per riconoscere le costellazioni. Dipinge.
Nel 1984 incontra Lucio Dalla, (che ha un debole per lui e la sua voce d’emergenza, che definisce una lametta da barba), che gli chiede una collaborazione. Battisti risponde che ormai è cambiato e si muove in altre direzioni. Infatti nella seconda metà degli anni ottanta il suo paroliere diventa Panella, che scrive testi complessi, che si spingono sino al nonsense. Insieme pubblicano 5 album, sperimentando di tutto, addirittura scambiarsi di ruolo per scrivere Battisti i testi e l’altro le musiche. Sono i famosi album bianchi, detti così perché le copertine hanno uno sfondo bianco, sul quale Lucio disegna tratti semplici, quasi scarabocchi. Questi album sono per niente pubblicizzati e man mano accolti con successo calante. Gli affezionati caldeggiano un ritorno con Mogol, ma Mogol ormai lavora con Cocciante.
Da Mogol a Panella
e cambia un mondo
Il suo sedicesimo album, primo dei cinque con Panella, Don Giovanni – genere pop barocco – viene definito da Francesco De Gregori una pietra miliare. Secondo lui, tutti ‘dobbiamo fare i conti con una musica che cambia’. Infatti quella di Battisti cambia, e quanto cambia!
Nel 1992 esce il suo penultimo album, Cosa succederà alla ragazza, che i critici stroncano definendolo un disco senza amore, un incubo, un insulto al pubblico. Qualcuno di loro si diverte ad affermare che la sua musica ricorda le sofferenze di Fantozzi. Battisti viene anche accusato di essere fascista, e di sostenere economicamente il Movimento Sociale Italiano, o addirittura frange estremistiche, lui che non si è mai occupato di politica, infatti i testi delle sue canzoni ne sono assolutamente privi di qualunque riferimento. Eppure la sinistra non gli ha mai perdonato Dieci ragazze per me, uscita in pieno sessantotto, considerata dal pubblico femminista un oltraggio.
Il libro ‘Il grande inganno – Quel gran genio di mio zio’, recentemente pubblicato dal suo unico nipote, Andrea Barbacane, figlio della sorella Albarita, racconta che Lucio non andava nemmeno a votare.
Il pernicioso paradosso
del nipote biografo
In realtà questo squallido libro, che mi sono imposta di leggere ma che mi ha regalato momenti di vero disgusto, di cose vere (che era preferibile lasciare all’intimità della famiglia) e molte altre non vere (secondo me la maggior parte), ne racconta sin troppe. Ma è solo la palese operazione commerciale di chi, avendo la fortuna di essere il nipote, ha inteso speculare. Peraltro è scritto malissimo, e riporta le foto, che nemmeno si riesce a leggere, di molte lettere scritte di pugno da Lucio alla famiglia. Certo è che Luigi Barbacane, padre di Andrea e cognato di Lucio, lo tormentò per anni, suscitando puntualmente litigi familiari ad ogni incontro. Voleva a tutti i costi fare l’attore, ruolo per cui era negato a detta dello stesso figlio, e non si rassegnava al fatto che Lucio non lo raccomandasse. Nella sua vita non ha fatto altro che debiti e grandi impicci.
Sin qui sono andata tutta d’un fiato. Ora prendo respiro, mentre penso: Battisti era una persona semplice e riservata, che amava starsene per i fatti suoi, tra l’altro anche molto malata, il che si è scoperto dopo, ma quanto devono aver turbato la sua musica, quanto male devono avergli fatto.
Solo Mangiarotti scrive, in relazione a Cosa succederà alla ragazza: un vero capolavoro.
Nel ’94 arriva l’ultimo album, Hegel, da molti considerato il testamento spirituale di Lucio. Panella dichiara che non scriverà più testi per lui. Non vuole rischiare la ripetitività.
Anche la sua morte
diventa un mistero
Il 29 agosto 1998 (dopo dieci anni di silenzio mediatico) Lucio Battisti viene ricoverato in un ospedale milanese. Non ci sono comunicati stampa. Muore il 9 settembre, pochi giorni dopo, a soli 55 anni. I sanitari non riescono a salvarlo. Forse un linfoma maligno, sommatosi alle complicanze di una glomerulonefrite, che lo avevano da tempo condotto in emodialisi. Per lui qualche anno prima a Parigi si era tentato un trapianto di reni, seguito da rigetto, espianto e condanna a vivere una vita in dialisi.
A tutt’oggi i suoi familiari non hanno mai voluto rendere noti i motivi del suo decesso, né ci furono bollettini medici, se non la notizia che complicanze cardiache erano sopraggiunte per lui su un quadro già grave. Persino suo padre Alfiero non ha conosciuto i motivi della morte ed affermò di voler chiedere la cartella clinica di suo figlio…
I suoi funerali si svolgono in forma privatissima. È permesso solo a venti persone assistervi, tra cui Mogol.
Dopo la sua morte, i familiari diffidano il comune di Monteno (in provincia di Como, ora Lucca), dall’organizzare cerimonie in memoria del cantautore. Esplode una polemica seguita da denunce e culminata nella decisione della vedova, nel 2013, a quindici anni dalla sua morte, di portare via la salma dalla Brianza lucchese. Le migliaia di bigliettini dei fans di Lucio, vengono da Velezia infilate in sacchi di plastica nera e buttati nella spazzatura. La voce si diffonde e cominciano a chiamarla la Yoko Ono della Brianza. Nel 2018 la Cassazione respinge poi il ricorso degli eredi, madre e figlio, che avevano chiesto al comune 80000 euro per sfruttamento dei diritti d’immagine. Deluso da questi comportamenti, il comune nel ventennale della morte di Battisti non organizza nulla per commemorarlo.
Nessuno sa dove
riposano le ceneri
Oggi non si sa dove portare un fiore. C’è ancora la cappella a Molteno, vuota e abbandonata e senza nemmeno un’effigie, ma le spoglie di Battisti non si sa dove siano. Qualche tempo fa trapelò voce che Velezia le avesse fatte cremare…
A proposito di battaglie legali della vedova Battisti: non sono poche. Merita citazione quella contro Mogol, dovuta alla scelta della donna di non diffondere la musica del marito, impedendo così anche la diffusione di quella di Mogol, visto che erano coautori. La battaglia dura molti anni, ma alla fine vede validati i diritti di Mogol con relativo congruo risarcimento. A 20 anni dalla morte di Battisti, Delia Gaberscik, figlia di Giorgio Gaber, scrive una lettera pubblica a Velezia, pregandola di liberare la musica di Battisti, così che le nuove generazioni possano ascoltarla. Silenzio.
Il “sequestro” dei brani
oltraggio all’umanità
Sarà solo domenica 29 settembre 2019, ben 21 anni dopo la scomparsa, che la musica del grande artista diventa fruibile su tutte le piattaforme streaming online (però solo quella relativa ai brani scritti con Mogol, non quelli scritti con Panella).
E pensare che per averla libera la musica di Battisti, nel corso degli anni molti fans si sono addirittura costituiti parte civile.
In conclusione: per fare questo articolo, ho studiato la vita del grande Lucio, e mi è costato molto ricostruire che questo nostro artista, così tanto amato, così eccelso da essere paragonato a Mozart per il suo genio creativo, è stato a lungo osteggiato, pagando duramente la sua fierezza, riservatezza, il suo essere mite di indole ma ruvido di esperienza, il suo non assoggettarsi al conformismo e al potere.
Forse – dico forse – anche la scelta di una donna come Velezia, secondo alcuni responsabile della rottura con Mogol, ma su questo non voglio esprimermi, potrebbero essere illazioni. Mi tengo le immagini mentali di lei e Lucio che tutti sudati spazzano il loro giardino coperto di foglie e poi siedono sotto un faggio a bere una bibita. Un amico telefona, e lui risponde ridendo: come sto? Sto come un pensionato.
Di sicuro, però, col loro comportamento lei e suo figlio Luca hanno impedito per anni alle nuove generazioni di conoscerlo accedendo alla sua musica.
Poco importa. Ora è finita. Lui non c’è più, ma la sua arte così feconda, che lo portò, nel 1971, a scrivere una canzone ogni quindici giorni, i suoi 20 album, continuano a vivere.
Del resto: come può uno scoglio arginare il mare?