Quest’oggi parleremo dell’ultimo lavoro di Aldo Farias: ‘Open Quartet’ per la ‘Skidoo Records’. Il chitarrista, nato a Napoli nel 1961, realizza l’ultima sua fatica discografica insieme ad un prestigioso trio formato da Marcello Di Leonardo (batteria), Tommaso Scannapieco (contrabbasso) e da Mario Nappi (piano).
Diciamo subito che il chitarrista partenopeo fa parte a pieno titolo dell’élite del jazz napoletano. Questo concetto è stato rimarcato proprio in questo suo ultimo lavoro, un disco molto fruibile, decisamente non tortuoso, e con una tracklist molto interessante. ‘Open Quartet’, ancora, risulta essere qualcosa che magnetizza moltissimo, offrendo (contemporaneamente) quel senso di serenità, lasciandoti entrare in un’altra dimensione: della serie ‘un disco semplice ma essenziale’.
Senza dubbio il lavoro del quartetto, realizzato con un mood eccellente, renderà molto facendosi strada nel mercato del jazz. Il musicista-compositore, dunque, è di fatto tra i chitarristi di grande spessore, alla stessa stregua di Antonio Onorato e Pietro Condorelli, musicisti-compositori e chitarristi famosi e con i quali ha anche collaborato e realizzato album.
Aldo Farias inizia gli studi musicali incontrando spesso la chitarra classica. In un secondo momento mostra interesse verso il jazz iniziando a collaborare con musicisti quali Bob Berg, Mike Mainieri, Steve Turre, Richie Cole, Frank Lacy, Steve Grossman, Steve Slagle, Andy Emler, Michael Rosen, Gianni Basso, Franco Cerri, Claudio Fasoli, Larry Nocella, Maurizio Giammarco, Massimo Urbani, Roberto Gatto, Stefano Bollani, Fabrizio Bosso, Rosario Giuliani, Stefano di Battista, e altri ancora. Svolge attività concertistica in Italia e fuori dalla sua Nazione, esibendosi in diversi Festival. Con il proprio quartetto, poi, ha lavorato ad un progetto teso alla realizzazione di una sintesi fra la musica afro-americana e quella del nostro continente. Il quartetto opera una sintesi tra la cultura tradizionale jazzistica e le contaminazioni con la musica europea lavorando su composizioni originali e rielaborazioni di brani della tradizione jazzistica afroamericana.
Nato a Napoli nel 1961, Farias inizia gli studi musicali buttandosi sulla chitarra classica e poi comincia a porre la sua attenzione sul jazz collaborando, come detto, con diversi musicisti ed in seguito con il quartetto ‘Jazz Mediterranee’ lavorando su un progetto teso alla realizzazione di una ‘sintesi’ fra la musica Afro-Americana e quella Europea. Ha avuto esperienze musicali con musicisti quali: Bob Berg, Mike Mainieri, Steve Turre, Steve Grossman, Richie Cole, Frank Lacy, Steve Slagle, Andy Emler, Gianni Basso, Franco Cerri, Antonio Onorato, Claudio Fasoli, Larry Nocella, Maurizio Giammarco, Tullio De Piscopo, Massimo Urbani, Roberto Gatto, Nicola Stilo, Stefano Bollani, Sid Simmons, Peppe Merolla, Mike Boone e Mike Stern. Nel maggio 2002 viene pubblicato per la ‘Panastudio Jazz’ il disco ‘About Tradition’, insieme con Antonio Onorato. Segno, questo, tangibile o per meglio dire ascoltabile, di un sodalizio artistico nato qualche anno prima, intorno al 2001, fra due dei chitarristi più rappresentativi della scena jazz napoletana ed italiana. L’anno successivo, con Pietro Condorelli ed Antonio Onorato alle chitarre, Angelo Farias (suo fratello) al basso elettrico e Salvatore Tranchini alla batteria, Aldo Farias, per la ‘Wide Sound’, immette sul mercato il primo ‘Contemporary jazz guitars’. Nel 2005 ne registra un secondo, ancora per la ‘Wide Sound’, chiamato ‘Four Brothers’, featuring Franco Cerri, Antonio Onorato e Pietro Condorelli. ‘Four Brothers’ è un album che rafforza il rapporto tra i quattro chitarristi jazz del momento.
Aggressivo quanto basta riesce a coprire una larghissima parte di pubblico ed ascoltatori. Il tuo disco ‘Open Quartet’ è un lavoro molto bello, meticoloso e ricco di contaminazioni, si offre volentieri all’ascolto ed è molto rilassante. Cosa ne dici?
Grazie sono contento che trasmetta queste sensazioni. Io penso che sia importante nella musica riportare le proprie radici musicali in modo da personalizzare il linguaggio della musica che suoni, quindi nel nostro caso non puoi fare a meno di confrontarti con l’aspetto melodico tipico della nostra tradizione musicale.
Here’s that Rainy Day è diventata anche uno standard jazz con le versioni di Bill Evans, Duke Jordan, Wes Montgomery, Paul Desmond, Modern Jazz Quartet, Archie Shepp, Chet Baker e McCoy Tyner. Chi ti ha ispirato di più?
I musicisti che hai citato sono tutti dei grandi della storia del jazz quello che mi ha più ispirato di più è Bill Evans un musicista che amava trasformare continuamente la sua musica. Here’s that Rainy Day è un brano bellissimo di Jimmy Van Heusen con musica dello stesso Van Heusen e testi di Johnny Burke. pubblicata nel 1953. Il brano ha una struttura armonica molto interessante con delle belle modulazioni musicali, in questa versione l’abbiamo ‘rivisitato’ cambiando il tempo in 5/4 e facendo una modulazione nella tonalità minore nella parte finale, questo gli ha permesso di avere un carattere molto diverso.
Dei sette che compongono la tracklist, quali sono i brani nati da Aldo Farias?
I brani originali composti da me sono ‘One for Bud’ dedicato a Bud Powell una tra i più grandi pianisti e compositori della storia del jazz e ‘Beat 61’ un brano moderno che risente delle influenze sia ritmiche che melodiche della musica jazz contemporanea. Negli anni ho sempre avuto un sguardo particolare sia alla tradizione che alla contemporaneità, cioè a tutte le influenze che la musica classica e il jazz hanno subito nel nostro secolo. Il terzo brano originale è ‘Waltz For a Poets’, ma questa è una composizione davvero interessante di Mario Nappi.
Ci parli della scelta dei musicisti? Com’è avvenuta?
Questo progetto ‘Open Quartet’ che ho condiviso con quattro musicisti ed amici carissimi è nato dalla condivisione musicale ed umana quotidiana all’interno del Conservatorio ‘Domenico Cimarosa’ di Avellino dove tutti noi insegniamo portando avanti diversi progetti musicali.