Giuseppe Diodato, nome d’arte Leo Pesci, keyboarder, polistrumentista, cantante e cantautore napoletano da anni residente a Peckham (quartiere di Londra, del borgo di Southwark), sta per pubblicare (su vinile e su cd) il suo nuovo lavoro discografico: ‘Impolite’ (scortese) che uscirà per l’etichetta Ramrock Red Records. Nel frattempo è possibile ascoltare la tracklist navigando tra le diverse piattaforme: (Traxsource, Ramrock, Bandcamp, Soundcloud, Deezer, Apple Music, YouTube, Spotify ed altre). L’album fisico, invece, sarà disponibile sul mercato discografico ad inizio 2024.
«Ho iniziato a lavorare al progetto nel 2021 – spiega l’artista – in pratica dopo l’ultimo lockdown del Regno Unito e durante il deprecabile governo di Boris Johnson, ho sentito di dover dire molte cose sulla società: corruzione, sovrappopolazione, diminuzione drastica del finanziamento all’Istruzione e alla Sanità, la menzogna occidentale della meritocrazia, la crisi abitativa, il cambiamento climatico sono tutti segnali che fanno capire una cosa: la nostra società non sta andando da nessuna parte. Di tutto questo avevo intenzione di parlare nel disco, mia creatura. Alla fine l’album è stato un po’ il mio alter ego, come in ‘Community’, il mio precedente EP. Mi ero, dunque, ripromesso di comporre solo ‘musica libera’ con me stesso liberato dalle considerazioni del tipo: ‘chi mai l’ascolterà? Come posso essere parte della scena con questo album?’ Durante la realizzazione di ‘Impolite’ non ho pensato all’ascoltatore, ed è per questo che penso che questo album rappresenta la mia vera identità. Personalmente ho sempre scritto musica, fin da quando ero al liceo, ma pubblicarla, poi, è tutt’altra cosa. La prima volta che ho pensato di scrivere e produrre musica per condividerla con il mondo è stato nel 2020. Avevo molto materiale: testi e composizioni nel cassetto. Insieme a mio fratello Dani abbiamo scelto 4 canzoni, le abbiamo riarrangiate e prodotte. Abbiamo, poi, pensato a un nome d’arte e siamo usciti con Leo Pesci. È così che nasce il mio primo EP ‘Leo Pesci’».
Nel disco si fa notevolmente cenno ai problemi dei nostri tempi: politica e corruzione, disuguaglianza e razzismo, capitalismo e miseria che porta alla società. Il ‘disco-protesta-manifesto’ rivela una forma vicina al nu-jazz. Musica che potrebbe raccogliere (chissà) anche larghi consensi e forse anche tra chi resta fedele al jazz contemporaneo o che continua a rifarsi ai classici standard. Questa disco dichiara apertamente d’essere stato creato con nuove sperimentazioni: hip-hop, rap e potrebbe fare breccia su una nuova fascia di ascoltatori.
Come definisci il tuo sound in questo nuovo disco?
Difficile dirlo. Quando ascolto la mia musica spesso faccio fatica a etichettarla ma, razionalmente, penso che sia un mix di soul, funky, jazz e un po’ di tradizione popolare napoletana. Con ‘Impolite’ ho pensato semplicemente di essere me stesso. Dal punto di vista del genere, ho cercato di non dare una linea comune a tutte le tracce; ho solo pensato che ciascuna delle composizioni dovesse essere una cosa completamente diversa, una sorta di mix tape. Odio essere scontato e l’ho evitato. Con il mio ultimo disco, la prevedibilità era proprio quello che volevo evitare ma per quanto riguarda i testi, sì: lì c’è una linea comune.
Su qualche piattaforma la tua musica rientrerebbe nel genere broken beat/nu-jazz. È così?
La mia musica è un’insalata mista di tanti generi ed anche molti addetti ai lavori a Londra trovano difficoltà a definirla. Io la intendo come un misto di Hip-Hop, Nu Jazz e Soul.
Gli artisti che hanno lavorato al tuo fianco in questo ultimo progetto?
Beh, devo dire che ogni traccia ha una ‘line up’ diversa in merito agli artisti. Quelli fissi sono, oltre a, me (tastiere e voci), Vincenzo De Fraia al basso e Dario Scotti alla batteria.
Hai ascoltato di tutto: dal folk napoletano a Frank Sinatra, dal jazz di Bill Evans, Diana Krall e Miles Davis poi Frank Sinatra e la musica americana sino ad arrivare alla splendida musica di Jamiroquai. In un’intervista hai affermato «… Ascoltavo ogni singolo album di Freddie Hubbard, Lee Morgan, Chet Baker, Clifford Brown, The Jazz Messangers, ma il mio preferito è stato il trombettista Roy Hargrove». Questo grande musicista di colore è stato l’unico ad essere contemporaneamente uno straordinario esponente del jazz tradizionale ed un pioniere … Roy Hargrove mescolava la tradizione jazz con l’R&B e il Soul?
Certamente. Ancora oggi continuo a pensare che non esista un album come ‘Hard Groove’ degli RH Factor. In quell’album Roy Hargrove presentava artisti come D’Angelo (pseudonimo di Michael Eugene Archer), Erykah Badu, Q-Tip, Meshell Ndegeocello, Common e Anthony Hamilton. Poi, quando mi sono trasferito a Londra, sono rimasto affascinato dal Regno Unito. Il jazz e l’album’ ‘Black Focus’ del duo Yussef Dayes – Kamaal Williams hanno letteralmente cambiato la mia prospettiva del jazz. Quindi, le mie influenze sono un grande mix di molte cose.
Ma cosa pensi, in sintesi, del jazz italiano?
Il jazz di marca italiana è ancorata al jazzismo tradizionale. Non vi vedo alcuna innovazione, nessuna apertura a ciò che lo stesso jazz è diventato nel mondo in particolare negli USA. In Italia il jazz rimane un cliché, con un pubblico che non è in grado di aprire la mente a tutto ciò che il jazz ha dato dagli anni ‘70 in poi, e con degli interpreti che non vanno più in là dell’American songbook…
Ci parli dei tuoi brani?
Impolite è un mixtape. Questo significa che ho fatto in modo che ogni traccia fosse differente dall’altra, in maniera da abbracciare un po’ tutti i generi musicali che mi appartengono. La critica sociale è invece un tema ricorrente. Sì perchè secondo me l’arte deve muovere le coscienze, altrimenti serve solo per l’esposizione, come il cesto con la frutta finta in mezzo alla tavola. Poi non giudico il mio lavoro, lascio all’ascoltatore il giudizio.
Il jazz per quello che posso dire, resta uno ed uno solo! Le altre sono solamente, ad esser buoni ‘leggere evoluzioni’ che, però, si allontanano da ciò che è jazz. Ci si rifugia nelle evoluzioni che portano altrove, la nobile musica vive ancora molto bene: sia in America che in Europa e non ha bisogno di percorsi paralleli o alternativi. L’Hip-hop, il funky ed il rap è altro! Tutto questo non deve scalfire la fresca e produttiva mente di Leo Pesci che ha una sua visione particolare ed anche carina del jazz; è democrazia. Il suo disco è certamente ascoltabile ma non può capovolgere i princìpi del jazz. Qui è tutta un’altra storia. In ogni caso quando ‘Impolite’ uscirà prodotto dai Fratelli Pesci (Leo e Dani) per la Ramrock Red Records, occorrerà comprarlo per conservarlo nello scomparto dei dischi o dei vinili. Un voto al disco? 8 per la fantasia ma il jazz è jazz