In una mite giornata di settembre del 1881 le campane di tutte le chiese di Sanremo hanno appena finito di battere quattro rintocchi, subito inghiottiti da un sospeso silenzio («E adesso? dice quel silenzio… cosa succede?») , quando tra i «piccoli, sorridenti episodi» pronti ad aprirsi, si fa largo quello in cui una figura di donna varca il cancello di una delle tante ville allineate ai margini della città. È una delle due protagoniste del nuovo romanzo di Paola Capriolo, Irina Nikolaevna o l’arte del romanzo (Bompiani, pp.254), la nobile russa che si presenta alla villa di Lady Brown per un colloquio di assunzione al ruolo di dama di compagnia. «Sfinge bizzarra», dotata di un «fascino sommesso ma indiscutibile», vissuta nell’orbita della corte degli Zar, ora, seduta su una poltrona, con il suo modesto abitino, dà l’«impressione di «un uccello graziosamente appollaiato su un lembo di nuvola» alla padrona di casa, vedova di un baronetto inglese, la quale, in ascolto inquieto, si immerge nella «lucentezza compatta e imperturbabile» del mare da cui, filtrato dalle tende, le giunge un insperato conforto.
Dopo l’assunzione ha inizio la «lenta quiete» delle giornate delle due donne lungo anni che l’autrice, «per mero dovere di cronaca», scandisce riferendoli a dati essenziali in cui «non esiste il tempo, ma soltanto lo spazio»: un’«era di pace perpetua» durante la quale la città di Sanremo appare «calamita» che attrae personalità da ogni Paese, e nel rione popolare della Pigna, nei grandi alberghi e nelle variopinte casette dei marinai non arrivano neppure i primi «scricchiolii» dell’Europa, mentre il moderato snobismo di Lady Brown si esercita soltanto nell’osservare le «zuffe» dei due suoi gatti di purissima razza persiana, Sir Galahad e Lady Rowena, e nel gestire il malcontento del maggiordomo Evans che non riesce a sopportare del tutto le intrusioni nel suo «mondo felpato». Intanto, uno scarto leggero, una vibrazione dell’aria increspano le conversazioni che si propagano senza peso né sorpresa nel paesaggio circostante, tangibile e, insieme, alterato dalla stregoneria delle cose, del tempo che invisibile fugge, delle memorie che trovano un varco nel presente giocando con la realtà, mentre il loro ormai essere ombre le trattiene, ne smussa il suono. Sopravvive però un altro suono più intenso, il respiro del mare che sale verso la città vecchia per vicoli, sfiorando le case arroccate sulla collina,e insinuando fra la «dimensione verticale» il brivido di un crollo, l’agguato di una vertigine, lo smarrimento in un labirinto all’interno del quale lo stesso mare si trasforma quasi in un sospetto.
Interruzioni e riprese di linee tematiche, accordi rilanciati dalle intermittenti spaziature strategiche, movimenti tensivi rimodulati in febbrili aree di riflessione esistenziale si armonizzano in un registro linguistico che trascorre con scioltezza e pausato approfondimento dalla parcellare documentazione storica e dalle spettacolari tessere illustrative della natura alla sensazione di un «incantesimo»; dall’incombere di una nuova «trama romanzesca», imperniata sull’«inganno, ma tenace», alla folgorazione iconica e al fraseggio mobile e in grado di sintonizzare senza urti il dialogo più consueto e denotativo sul metro di un’alta e complessa architettura visionaria. A volte può sembrare al lettore di trovarsi di fronte a un territorio magico, fiabesco, dove le presenze, anche quelle di sfondo, appaiono come enigmatici segnali di un mondo indistinto, echi di fatti già avvenuti in altre storie e ormai sbiaditi, oppure lo spettacolo di qualcosa che non è una realtà oggettiva, ma «una nuvola, una lunga nuvola d’oro che sorge come un’ isola dall’orizzonte. Splendida, mutevole, inafferrabile» Tocca, allora, all’autrice il compito di sfruttare le infinite opportunità di entrare esplicitamente nel suo racconto e di giocare una delle tante care offerte dall’«arte del romanzo» («L’unica cosa che risulta evidente, se non a Lady Brown almeno a noi, è la scarsa inclinazione di Irina Nikolaevna per le belve addomesticate»).
Preziosa e illuminante, la galleria di alcuni personaggi che in modo intenso accompagnano i percorsi delle due interlocutrici: l’ex maestro Littieri, anarchico dal «cipiglio scontroso», ridotto in assoluta povertà; il barone von Tronka, che non ha ancora trovato l’«anima gemella» e, accanto alla corteggiata Irina, non trova le parole giuste per confessare il suo amore; Alfred Nobel, oppresso da un senso di colpa per aver inventato la dinamite; i coniugi Ormond con il loro esclusivo salotto e la sfarzosa dimora; e poi il coro degli anonimi «assiepati» lungo il tracciato ferroviario per tributare un commosso addio alla salma dell’imperatore nel suo ultimo viaggio verso la Germania. In questo libro di struggenti atmosfere e pensieri rivelati dal repentino frangersi di un raggio di sole o dal ricamo d’ombre indocili, tra sogni sorpassati da altri sogni, arrivano nel ripetersi pigro delle ore le note di un “Notturno” di Chopin. E così anche le pagine più affilate di sorriso, rialzate dalle scelte citazioni colte, oscurate dalla visita della morte si venano di trasalimenti e di stupori e i ricorrenti simboli del «mare» e della «nuvola» raggiungono nel «bagliore dorato« di un paesaggio il salvifico accordo con la vita che riprende il suo passo.