Era il periodo in cui gli ubriachi cantavano Vola colomba. Insieme al gruppo c’era anche l’amico del bambino ma lui non era ubriaco. Quando il gruppo entrò in osteria, il bambino e la bambina proseguirono il cammino. Flavio Ermini, Antipensiero, Moretti&Vitali, pag. 83.
L’essenzialità ha una sua intrinseca parabola breve. Linea di questo libro e viaggio. Metafora. Allegoria. Movimento senza termine di quella parola rivelante-svelante che inizia alle cose, a quell’assoluta libertà del testo e di ogni scrittura che si equivalga di esistenza. Di presenza e di abisso. Itinerario di ciò che ricade in quel “dire” heideggeriano che è fondo (fondatezza) di un certo fare poetico che accompagna da sempre l’autore di questo singolarissimo e spiazzante volumetto. Un’azione, quella di Flavio Ermini, che si riversa non solo nell’esperienza della scrittura poetica, ma anche nella sua attività di saggista, narratore e teorico della poesia. E, similmente, di divulgatore di quell’arte che sempre costituisce tensione e disordine. Complessità. Ovvero, dedizione, ricerca di una lingua che sia nuova. Di uno spazio poetico a se stante. Di un tempo che non fluisce né si manipola. “Il tempo di cui torna a parlarci il poeta è dunque diverso dal tempo “naturale” così come lo avvertono i sensi, ma anche da quello “umano”: a differenza di entrambi, è destinato a non scorrere. La sua estensione geometrica tende allo zero. La sua irriducibilità al sé – esattamente come per l’essere e il dire – è totale. A tali propositi, e per una comprensione più approfondita sia dell’autore sia degli sviluppi della riflessione riguardo alla poesia contemporanea, si legga dello stesso Ermini, “Perché la poesia”, Anterem Edizioni. Libro in cui sono raccolti gli ultimi editoriali per l’omonima rivista Anterem da lui fondata nel 1976 con Silvano Martini. Per dire di un’abnegazione totale. Di una compattezza e linearità del suo discorso assolutamente stupefacente.
“Tutto il pensiero di Ermini sgorga dalla nozione dell’esistenza reale (biologica e storica) come “caduta”, separazione da un’origine pre-logica, pre-mitica e pre-verbale, cui però l’uomo anela a ricongiungersi per via poetica.” Le parole di Daniele Maria Pegorari sono opportune di un percorso e di un’introduzione all’autore che ben si addice a questa delicata e toccante (Nancy) nuova pubblicazione, dove s’incrociano varie “scritture” e cifrari. Al testo, in prosa ma può essere solo una dislocazione della parola “poetica”, si alternano disegni, riproduzioni d’immagini, o di spazi provocatori evocativi di codici e di cieli. Costellazioni. Nebulose. Galassie. Buchi neri. Diciamo universi. O memorie. Figure mitiche. Cerbero, il custode degli inferi. Il centauro, L’Idra. C’è la nave di Giasone e di Argo. C’è disegnato il sestante, come altri strumenti che alludono a navigazioni mitiche, leggendarie, irreali. Quella di Ermini è una composizione di transito, di attraversamento, d’intersezione, dove memoria e realtà si spezzano e si smarriscono in un viaggio che non è solo a ritroso, per esempio nell’infanzia, dove sono richiamate le rovine della guerra o la struggente bellezza di un’innocenza vissuta, ma un viaggio favoloso, illusorio, silenzioso quanto oscuro e intricante. Si attraversano regioni storiche, interiori, e congetture filosofiche con inaudita semplicità e potenza. Si va, come esemplarmente ci conduce il prefatore Lucio Saviani, dalla parabola, che è l’origine della “parola”, alla fabula. A quel “dire” che non può essere che incantato. Qui la fiaba, il racconto, la storia, la novella, la leggenda, il mito, l’apologo, la bugia, l’invenzione, la menzogna, e ancora altro si addensano in un unico corpo che è il libro. Libro di viaggio come lo sono tutti i libri. Libro del mondo. E libro dell’essere. “Il bambino accompagnò i suoi compagni di classe nel cortile. Il bambino e la bambina stabilirono così un nuovo Essere”.
I protagonisti dell’avventura, un bambino e una bambina, non sono nient’altro che dei riverberi, delle illusioni labirintiche in un tempo e in uno spazio che non si definiscono. Tutto sembra appartenere a un’alterità avversa o nostalgica, in una traduzione del reale che eccede qualsiasi senso e impianto, struttura narrativa o poetica che sia. Ermini si muove nel silenzio e nella suggestione, soprattutto in una libertà contraria all’uniformarsi di qualsiasi scrittura o linguaggio. Il suo è l’atteggiamento dello scacchista. Dare continuamente scacco al linguaggio per Ermini significa abitarlo nella doppia valenza di un essere e di un esistere. Come se la scrittura, la composizione di un testo, l’inosservanza di una voce, non fosse altro che un viaggio rischioso, imprudente, azzardato.
Dov’è il pericolo, cresce anche ciò che salva, scriveva Hölderlin. Nella stessa misura, il poeta si fa temerario di una riflessione che tenta di coniugare l’essenza dell’essere al suo dire. Là dove s’interrompe l’ordine del linguaggio, quando si apre una crepa nella frase, nel pericolo del dire, scrive Flavio Ermini in un suo editoriale, è possibile che la parola si raccordi pienamente con l’essere. In tal modo in Antipensiero si assiste a uno spostamento narrativo alquanto insolente. Sembra di leggere il nulla e, invece, come trasportati da un adagio, si entra in una dimensione che credevamo separata da noi stessi, un nuovo abisso, una nuova realtà, una successiva aggiunta di enigmi e di paradossi. “Ora bisognava trovare una via d’uscita”. E allora ci si chiede chi sono il bambino e la bambina, protagonisti del libro. Chi è una mamma? Chi è il soldato? Chi è il nemico? Chi è l’uomo? “Fu così che attraversarono il fiume. La mamma infatti aveva attraversato molti fiumi e molte macerie senza mai incontrare il Soldato nemico. La mamma, come i filosofi, girava per il mondo senza trovare una soluzione”. Si potrebbe ancora dire che Antipensiero è un libro strano. O di più, che non sia per niente un libro. Anzi, che non si possa credere per nessuna ragione all’eventualità di una scrittura del “dire” in forma di bagliori inconsueti, sta di fatto che ci troviamo di fronte a un testo che rende visibile un cammino, una minima estensione geometrica e, infine, una perfezione. Per essere più chiari, lascio l’ultima parola a Spinoza. “Qui non parlo della bellezza, e delle altre perfezioni che gli uomini hanno voluto chiamare perfezioni per superstizioni e ignoranza, ma intendo per perfezione solo l’essere”.
[Flavio Ermini, Antipensiero, Moretti&Vitali, pag. 83]
Flavio Ermini è poeta, narratore e saggista. Ha lavorato per trent’anni in Mondadori, ricoprendo importanti ruoli editoriali. È consulente di varie case editrici, e collabora all’attività culturale degli Amici della Scala. È presidente onorario di Anterem. I suoi testi sono stati tradotti in francese, inglese, slavo, spagnolo e russo. Per Moretti&Vitali ha pubblicato Il moto apparente del sole (2006), L’originaria contesa tra l’arco e la vita (2009), Il secondo bene (2012), Il giardino conteso (2016) e Edeniche (2019).