Il 23 luglio le sale italiane si sono tinte di rosa in occasione dell’uscita del film più atteso dell’anno, Barbie con la regia di Greta Gerwig.
Il film, sin dal suo primo annuncio, è apparso come una creatura ibrida, complessa; se da un lato è stato accompagnato da una operazione di marketing fatta a tavolino, tipica dei blockbuster, in questo caso con glitter e rosa dilagante, tuttavia con la regia e sceneggiatura dei coniugi Greta Gerwig e Noah Baumbach, due tra gli esponenti più incisivi del cinema indie americano, non ci si poteva aspettare di certo un film ordinario.
La pellicola si apre con un omaggio al celeberrimo 2001 Odissea nello Spazio, invece del monolite di Kubrick, origine e motore dell’evoluzione umana, compare una enorme Barbie, interpretata da Margot Robbie che risveglia la mente delle bambine fino ad allora abituate a giocare a fare le mamme con bambolotti e servizi da te, mostrando loro una bambola adulta, indipendente e svergognatamente bella.
Barbie è il monolite che ha solleticato l’immaginazione delle bimbe di ieri e di oggi per favorire l’emancipazione femminile. Ma è veramente così?
Sin dai primi anni dalla sua creazione (1959), la bambola di plastica della Mattel pur rappresentando modelli e sembianze di ogni tipo per sottolineare la diversità delle donne come valore inclusivo, è stata accusata di incarnare un modello di perfezionismo tossico difficilmente raggiungibile e Garwin nel film gioca proprio su questa contraddizione tra stereotipo e emancipazione.
Barbieland è un mondo perfetto, in cui le donne ricoprono qualsiasi ruolo di prestigio, presidentessa, fisica, scrittrice, giudice, mentre i Ken, sono semplicemente dei surrogati che vivono in funzione delle Barbie. Di certo il mondo di Barbie è un tentativo femminista di assistere finalmente ad uno scenario in cui a dominare sono le donne, d’altra parte Barbieland rappresenta in maniera paradossale e ribaltata la nostra società ancora fortemente patriarcale.
Ad un certo punto Barbie stereotipo (Margot Robbie) viene disturbata da una serie di pensieri di morte e depressione e quel mondo fatto di plastica, di feste tra amiche, di giornate tutte perfettamente uguali inizia a scricchiolare. Sotto il consiglio (quasi imposizione) di Barbie Stramba, la protagonista, insieme a Ken, interpretato da Ryan Gosling, si incammina verso il mondo reale decisa ad incontrare la sua padroncina e cercare di capire la causa del suo malessere.
Ken scopre di essere il corrispettivo della donna nel mondo reale e approdato nel mondo dell’al di qua inizia a capire la sua posizione di privilegiato per poi tornare a Barbieland con l’obiettivo di importare la cultura del patriarcato. Attraverso una vera e propria lotta tra i due sessi, le Barbie cercano di ristabilire il loro girl power inducendoli a farsi guerra tra di loro, un momento in cui è possibile rievocare il celebre dipinto ‘l’origine de la guerre’ raffigurante l’organo genitale maschile di Orlan.
Sotto la patina di una sceneggiatura pop, di un apparente femminismo radicale, Barbie è un film esistenziale che parla non solo alle donne, ma all’individuo e ci pone una domanda ben più complessa: e se ognuno di noi potesse essere ciò che è?
Alla fine Barbie e Ken si riconciliano e il film prospetta un nuovo immaginario che va oltre il femminismo: esclusa qualsiasi forma di dominio sia maschile che femminile, il film accenna alla parità di genere, unica dimensione in cui ogni individuo, prescindendo il proprio sesso, può riappropriarsi della sua identità, lontano dai canoni sociali, mostrandosi per ciò che è.
Oltre alla plastica, anche le idee sopravvivono agli esseri umani, Barbie che è senza tempo, incarna l’idea di libertà, di poter diventare ciò che si vuole e Garwin nel film estende questa idea non solo alle donne ma anche agli uomini: i am kenough
Il film include dei messaggi ancora oggi necessari (il discorso di Gloria alle Barbie), ma appare come una sorta di caleidoscopio i cui tasselli (femminismo, machismo, rapporto madre/figlia, scoperta di sè) che la regista ha cercato di toccare sono posti qua e là, senza mai sviscerarli fino in fondo, ed è forse per questo che, nonostante le alte potenzialità, Barbie rischia di essere ricordato più come un fenomeno commerciale che come un capolavoro generazionale.