Spesso pensiamo al cammino della via Francigena come una sola via, in realtà il cammino era, ed è, un fascio di strade che, nel corso dei decenni e dei secoli ci hanno tramandato conoscenza e saggezza custodita in luoghi non sempre molto conosciuti.
Sono andata personalmente sul Monte Amiata, ho visitato Radicofani, dove è la torre di Ghino di Tacco, protettore degli oppressi. La storia o la leggenda racconta che da buon Cavaliere aiutò anche il vescovo di Canterbury che si trovò a percorrere la via Francigena diretto a Roma. Vi ricorda qualcuno che abitava in una foresta inglese e rubava ai ricchi per donare ai poveri?
Ma torniamo al Monte Amiata, precisamente all’Abbazia di Abbadia San Salvatore, tappa fondamentale della Via Francigena sul Monte. Scopro che è un luogo templare, nato per custodire e tramandare, attraverso i simboli, l’energia della ricerca.
La Serendipità è quella piacevole sensazione che si prova quando si scopre una cosa, mentre se ne sta cercando un’altra e mi succede spesso. Cosa c’entra Benedetto Antelami che nel 1196 progettò il Battistero di Parma con l’Abbadia? Intanto se avesse potuto vedere la “Porta del Paradiso”, in oro e bronzo del Battistero di Firenze, realizzata secoli dopo, da Lorenzo Ghiberti, si sarebbe stupito che dopo tanto tempo sarebbero ricomparsi i personaggi biblici di Salomone e della Regina di Saba.
Ma andiamo con calma passo passo avrebbe detto il Commissario Montalbano, noooo e adesso cosa c’entra il Maestro Camilleri con i simboli ermetici? C’entra che Camilleri lasciava la sua amata Sicilia, udite udite, e si rifugiava a scrivere i suoi romanzi proprio sul Monte Amiata, luogo che descriveva magico e sul quale aveva una casa che amava molto.
Ma torniamo a Benedetto Antelami, l’architetto dell’ottogonale Battistero di Parma. Sul Battistero c’è uno “zooforo” che lo cinge con incredibile finezza d’esecuzione. Lo zooforo è formato da settantacinque formelle scolpite a bassorilievo e incastonate come un fregio. Rappresentano il mondo “fantastico” nella scultura: animali, sirene, mostri, centauri e basilischi insieme a figure umane. È il simbolo dell’universalità del genere umano a cui è aperta la predicazione e la comunicazione del messaggio di Cristo. Ma la sorpresa è all’ultima formella: cosa vediamo? un Levriero. Già mi preoccupo, perché c’entra anche Dante e la Divina Commedia. Ma il cane levriero è uguale a quello che rappresenta il Veltro descritto dal Sommo Poeta? Si! Proprio uguale. E pensate, fu scolpito da Antelami in anticipo di un secolo sulla profezia di Dante Alighieri “ Infin che il Veltro verrà…” (Canto I, Inferno). Il cane levriero che altro non è che il “khan”.
Khan è dunque, il Signore, l’Imperatore, il Papa, ma anche la rappresentazione del ritorno del Cristo che dovrebbe venire per sconfiggere l’anticristo con l’Apocalisse. È l’enigma della Commedia, ma potrebbe anche rappresentare il viaggio verso il compimento dell’ “l’uomo universale”. Per comprendere il Battistero ho camminato intorno al suo centro, sempre mantenendolo a destra. Tre sono le stazioni imposte nel passaggio: dall’Uccello al Leone fino al Veltro, “un percorso” ben scolpito che mi lascia stupita: realizzato 100 anni prima del viaggio di Dante. Benedetto Antelami rappresenterà la Lonza, il Leone e la Lupa, ed infine il Veltro. Quindi alla luce sono punti che si uniscono.
La Francigena era composta di cammini che univano tutta l’Europa medioevale. Quindi torno nel paese di Abbadia San Salvatore per cercare di comprendere meglio e mettere ordine a tutte queste Serendipita’. Sono finalmente davanti all’Abbazia, entro e scendo nella Cripta chiamata anche “la Chiesa delle Colonne”. E rimango senza fiato, Meravigliosa! Trentacinque colonne probabilmente edificate da due monaci appartenenti all’Ordine dei benedettini neri di Cluny, intorno al 770 d.C. La pianta della Cripta è a forma di Tau, vi sono tre absidi ed una serie di colonne scolpite con capitelli decorati da simboli geometrici, figure di animali, vegetali e figure umane: praticamente sembrano i simboli dello zoomorfo dell’Antelami. Mi sono trovata nel centro della cripta nell’assoluto silenzio, proprio come se fossi in un antico Bosco Sacro, l’energia che si percepisce non è spiegabile a parole, per questo ho scattato fotografie. Nel mio pensiero ho cercato di manifestare quell’energia inserendola in una foto in modo circolare, che ho messo in capo a questo scritto.
Osservo attentamente, e vedo che in ogni capitello c’è una incisione, sembra che le figure raccontino una storia. Il capitello che colpisce la mia attenzione è quello con la testa barbuta che alla sua sinistra ha uno scettro e alla destra un simbolo. Cerco, sfoglio un libro che mi porto dietro e scopro che in lingua etiope corrisponde alla parola “Re”, anzi ci sono molte iscrizioni etiopi, è l’antico linguaggio affine a quello del Regno di Saba, che può essere identificato con il sud dell’attuale Yemen. Era una posizione strategica per il commercio, tanto in Asia come in Africa, compreso per commercio del caffè etiope. Ecco, adesso mi sono infilata in un ginepraio: cosa c’entra l’Etiopia con Abbadia San Salvatore? Praticamente sto scoprendo che potrebbe esserci un cammino che si estendeva dal nord Europa ed arrivava in Africa, e questo già nel 1500, ma Avanti Cristo.
Continuo a guardare le colonne della cripta. Su un capitello è incisa una figura femminile, che sia una regina è innegabile dato che ne presenta tutti gli attributi: il diadema con il quale é ornata richiama alla mente i copricapi delle nobili donne orientali. In effetti ritrovo una particolare rassomiglianza con un’immagine tardo medioevale che mi appare sul display del telefono, mentre faccio una veloce ricerca. Noooo! esclamo. Pensate: la figura di donna si trova nella Cappella Maggiore della Basilica di Santa Croce a Firenze e raffigura la leggenda della Croce di Agnolo Gaddi realizzato intorno al 1380. Nel dipinto ci sono le storie del Sacro legno della Croce, riprese dalla leggenda della Vera Croce, con il miracoloso ritrovamento da parte di Elena, la madre dell’Imperatore Costantino. Ma la cosa che unisce i puntini luminosi, è che viene raffigurata nel dipinto anche la Regina di Saba, ornata di un diadema identico a quello che si trova inciso sul capitello della colonna nella cripta di Abbadia San Salvatore. Quindi è proprio la regina di Saba. In effetti è proprio lei. Quello che sappiamo con certezza è che la regina di Saba è raffigurata principalmente sul portale nord della cattedrale di Chartres in Francia, sul Battistero di Parma dell’Antelami e nella porta del Paradiso del Battistero del Duomo di Firenze. Direi che c’è parecchio materiale sul quale riflettere.
Quindi se realmente è la Regina di Saba ad essere rappresentata sulla colonna ad Abbadia, la famosa Regina di Saba conosciuta anche come Makeda, il Re rappresentato potrebbe essere Salomone il suo sposo, colui che fece edificare il Tempio di Gerusalemme. La storia di Re Salomone e della Regina di Saba si trova narrata nel Kebra Nagast e nella Bibbia.
Il Kebra Nagast che in lingua Ge’ez, la lingua semitica parlata nel Regno di Etiopia fino al XIV secolo, significa: “La Gloria dei Re”. Praticamente è un antico testo etiope risalente al periodo fra il IV e il VI sec. d.C. ritrascritto nel XII secolo in arabo e in aramaico. Nelle lingue europee apparve solo intorno al 1500, ma questa volta dopo Cristo.Il testo narra del leggendario trasferimento dell’Arca dell’Alleanza, avvenuto da Gerusalemme al Regno di Saba.
Secondo la leggenda, l’Arca, che custodiva le leggi date da Dio a Mosè, passò dalle mani del Re Salomone di Israele, a quelle di Bayna Lehekem, figlio di Salomone e della regina di Saba. Il figlio che venne incoronato Re di Etiopia col nome di Menelik I. Quindi il trasferimento dell’Arca, potrebbe anche essere letto in senso simbolico, cioè come un passaggio della discendenza biblica da Israele all’Etiopia, attribuendo elementi divini alla dinastia tradizionale etiope. Nel Kebra Nagast si parla della storia d’amore tra la Regina di Saba e Salomone e del regalo ricevuto prima che la regina tornasse al suo regno: un anello speciale. Quindi se il Il “Kebra Nagast” inizia ad essere conosciuto in Europa soltanto a partire dal 1520, come può essere rappresentata la storia della Regina di Saba e di Salomone nella Cripta di Abbadia costruita sul monte toscano Amiata prima dell’anno mille?Probabilmente i Maestri costruttori facevano riferimento all’Ordine Benedettino di Cluny, il quale possedeva delle biblioteche con manoscritti provenienti da molti paesi all’apparenza sconosciuti e contenenti la storia della loro cultura.
Non scordiamo che i Benedettini di Cluny erano un ordine che promosse le arti liberali e si instaurò in Terrasanta ai tempi di Carlo Magno il quale aveva stretto un forte patto politico con il sultano Harun al-Rashid. Praticamente i monaci benedettini portarono una conoscenza orientale all’interno dei loro monasteri e in seguito all’ Ordine del Tempio. Anche Matilde di Toscana, zia di Goffredo di Buglione, uno dei nobili che finanziarono la Prima Crociata volle farsi seppellire in abito benedettino, e fu lei che appoggiò l’ operato del Papa benedettino cluniacense Gregorio VII. Andando più a fondo scopro che anche i mercanti dell’antica repubblica marinara di Amalfi ottennero dal Califfo d’Egitto il permesso per costruire a Gerusalemme una chiesa, un convento e un ospedale nel quale assistere i pellegrini di ogni fede e razza, quando, in Terrasanta, cristiani e musulmani andavano d’accordo e si tolleravano. Quella chiesa costruita dalla Repubblica di Amalfi, fu dedicata a San Giovanni Battista, e nel 1048 vi nacque una comunità monastica chiamata “l’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme” che divenne indipendente sotto la guida del monaco benedettino Gerardo Sasso, primo Gran Maestro.Torno sul Monte Amiata, dunque l’Abbazia di San Salvatore è il luogo nel quale Occidente ed Oriente trovarono una fusione di tutto il sapere e che fu custode di una grande saggezza?
Abbiamo la prova che il Monastero custodiva fin dal 1034 importanti reliquie provenienti dall’Oriente frutto di donazioni papali e imperiali. Tra queste il Codex Amiatinus o Bibbia Amiatina che è la più antica copia manoscritta conservata integralmente della Bibbia nella sua versione Latina redatta da San Girolamo, di cui si ritiene sia la copia più fedele. San Girolamo lo ritroviamo a Firenze nella chiesa di Ognissanti dipinto dal Ghirlandaio, in contrapposizione al Sant’Agostino dipinto dal Botticelli, entrambi hanno in comune i simboli del concetto di “tempo”.L’Abbazia di Abbadia può essere la fedele custode di antichi simboli e antichi racconti che potevano andare perduti? Il Monte è simbolo della fatica del cammino, ma sopratutto è la volontà di una salita verso il cielo, di una ascesi spirituale, e questo lo dico da camminatrice e sopratutto da amante della salita in montagna per raggiungere la vetta più alta.E se i Templari e la storia del Santo Graal ancora sono in cerca di “verità”, con una cartina geografica alla mano, possiamo vedere che l’Eremo o Rotonda di Montesiepi, il luogo che custodisce la spada nella roccia e la Grande Abbazia Circestense di San Galgano sono a non molta distanza da Abbadia. Ma un’altra curiosità unisce i molti puntini di questo mio viaggio lungo una parte del lungo cammino della via Francigena, ed è Andrea Corsali, lo scopritore della costellazione della Croce del Sud. Navigatore e grande astronomo, cui il 6 ottobre del 1514, Papa Leone X, dette una lettera commendatizia, scritta da Pietro Bembo, allora segretario del papa, e indirizzata: a “Davidi regi Abissinorum”, il famoso “Prete Gianni”, meglio conosciuto come Lebna Dengel, della dinastia Amhara, guarda caso Re d’Etiopia dal 1508 al 1540.
Andrea Corsali, fiorentino, viveva in Etiopia, e probabilmente vi trascorse il resto dei suoi giorni, perché agli stranieri non era consentito lasciare il paese una volta che avevano avuto la possibilità di entrarvi. Corsali fu uno dei primi viaggiatori europei a descrivere con acume e interesse di studioso, il mondo allora ancora fantastico ed esotico dell’Oriente d’Africa. La sua figura è a sua volta misteriosa: non sappiamo, infatti, chi fosse né quale fu il vero motivo che lo spinse ad intraprendere il viaggio verso le lontane Indie, né, ancora come sia riuscito di imbarcarsi su navi da guerra portoghesi che svolgevano missioni evidentemente segrete. A spingerlo al viaggio non fu forse solo il desiderio di riferire alla famiglia Medici, alla quale era devoto, ma lasciare testimonianza scrivendo due lettere ancora oggi ben conservate, una a Giuliano dei Medici e una a Lorenzo Duca d’Urbino, per dare notizie di terre poco conosciute, ricche di spezie e oggetti preziosi, affinché i Medici se ne potessero avvantaggiare commercialmente. Con esse dava istruzioni per raggiungere l’Etiopia cristiana di Lebna Dengel e favorire una alleanza politico religiosa tra la Chiesa di Roma e il regno etiope contro la potenza musulmana, in nome di papa Leone X della stessa casata Medici.
Dalle due lettere del Corsali emerge la sua notevole cultura, capacità di descrivere minuziosamente ed appassionatamente le terre visitate e le popolazioni incontrate, l’uso dell’astrolabio e di altri strumenti scientifici per lo studio delle coordinate geografiche dei luoghi attraversati. Questo a conferma che il Corsali non era mosso solo da semplici interessi mercantili. Tra i suoi meriti dobbiamo ricordare l’aver individuato l’errore di Tolomeo che aveva mal calcolato la distanza tra l’Africa e l’India; l’aver individuato con esattezza l’isola di Ceylon, l’attuale Sri–Lanka che era all’epoca conosciuta come Serendippo, dalla quale deriva il termine di Serendipità che mi ha guidato in questo scritto.
Praticamente quando pensi che tutto sia scontato o inevitabile, può sempre succedere qualcosa che risulta tutt’altro che prevedibile…