Un batterista dall’animo marcatamente napoletano, Fredy Malfi è tra i drummer partenopei più richiesti. Ottimo ed affidabile session man è un batterista multiforme ma di certo un musicista dal drumming fluente. Le sue collaborazioni possono fornire, in maniera chiara, qual è il suo spessore.
Il batterista, che reclama -per tratti somatici- anche vicinanze con il popolo dei nativi americani, ha collaborato con i Napoli Centrale di James Senese suonando in ‘Hey James’ del 1991; ‘Jesceallah’ del 1992; ‘Paisà’ del 2007; ‘È fernut ‘o tiempo’ del 2012; ‘‘O sanghe’ del 2016 ed infine in ‘James is Back’ del 2020. Con il grande Richie Havens nel lavoro ‘Napoliopera’ del 1984, con Daniele Sepe (altro immenso sassofonista dell’area vesuviana) nei lavori ‘Malamusica’ (1989); ‘Vite perdute’ (1993); ‘Spiritus mundi’ (1995); ‘Viaggi fuori dai paraggi’ (1996) e ‘Lavorare stanca’ registrato nel 1998. Altre collaborazioni di rilievo, poi, con il brasiliano Toquinho, Peppe Barra, Nico Di Battista, Gianni Guarracino, Fabrizio Fedele, Nello Daniele, con i Triodi e poi con gli Alias.
«Dopo il duemilasedici ho formato i ‘Triodi’, insieme a me c’erano Corrado Paonessa alla chitarra e Mario Mazzaro al basso. Musicisti che ritengo di grande spessore. Con loro, tempo un mese e mezzo, siamo riusciti a registrare ‘Live in Studio’, un album molto interessante. Purtroppo, dopo alcuni concerti dal riscontro molto interessante, la band si sciolse. Nel duemiladiciannove fui contattato da un gruppo prog (gli ‘Alias’) con il quale registrammo il loro lavoro discografico ‘The Second Sun’. Nell’ottobre dello stesso anno mi richiamò Senese per il suo tour e nell’anno successivo registrato ‘James is Back’» – racconta di sè.
Il drummer, dopo aver frequentato diversi gruppi, con i quali è stato in svariati posti del mondo, si iscrive al Liceo Musicale ‘Marciano’ di Napoli, dove, seguito da Valter Scotti, resta per cinque anni. La passione per la musica è grande ma contemporaneamente c’è quella dell’insegnamento e quindi, invogliato dallo stesso Valter Scotti, inizia a dare lezioni. Nel Novantotto pubblica il suo primo libro di didattica ‘Programma di batteria’ edito da ‘Sinfonica Jazz’ e distribuito dalla ‘Nuova Carisch’.
«Sono stato spinto a pubblicare questo Programma di batteria da esigenze di praticità, notando sia in prima persona (da studente) che nei miei allievi, come possa essere difficile mostrare interesse per tutti gli argomenti trattati in manuali tematiche di sicuro interesse, così da rendere bene l’idea dell’argomento e permettere agli allievi una immediata applicazione pratica» – racconta ancora.
Nel 2001 esce il video didattico ‘Consigli per batteristi’, prodotto da Davide Loveri e sempre distribuito dalla ‘Nuova Carisch’. Il batterista napoletano, oramai punto fermo nella formazione guidata da James Senese e vero animale da palcoscenico per la sua grinta e determinazione, cavalca i vari generi musicali con estrema facilità: dal jazz al rock (che è la sua matrice originaria).
Fredy, qual è la tua concezione di jazz e di jazz-rock?
Devo precisare che la mia vera matrice originaria non è assolutamente il jazz ma il rock. Mi definisco un rocchettaro che poi si è prestato al jazz ed al jazz-rock. Per quello che concerne il jazz, devo dire che questo tipo di musica non rappresenta altro che l’espressione del corpo, oltre a essere una sorta di attrazione fatale o amore che devi avere al tuo interno. È una passione che il musicista ha, un’enorme attrazione che va curata e continuamente studiata. Il jazz in sé, poi, comprende anche una serie di varianti che sono l’acid jazz, il free jazz, il be bop, il nu jazz e tanti altri generi. Parlando di jazz devo dire che questo genere ti fa avere il massimo dell’espressione e dei colori della tua anima. Il jazz-rock è il genere al quale mi avvicino di più anche perché, come già detto, parto proprio facendo rock. Il rock è la musica che ha rappresentato il mio primo amore e che fa parte del mio dna. Se fai caso bene, in ogni brano che suono, noterai sempre quell’evidenza marcatamente rock. Ed essendo di questa matrice, vorrei ricordare d’essere cresciuto con i Deep Purple, i Led Zeppelin, i Black Sabbath, i Grand Funk e così via. Per questo motivo, ogni brano è da me condito da un sano rock.
Qual è il batterista che ti ha ispirato di più?
Personalmente e non per presunzione, non ho mai avuto un batterista che possa definire ‘di riferimento’. Ci sono stati e vi sono tanti batteristi e tra questi, forse, il mio preferito è stato Vinnie Colaiuta. Sto parlando di un artista che trovo completo … un batterista a trecentosessanta gradi, un musicista che ha suonato sia jazz che latin, passando per il pop; è uno che ha suonato anche ‘metal’. Più completo di così? Colaiuta è versatilissimo ed è dotato di una tecnica impressionante. Quest’artista, dunque, mi ha ‘preso’ di più, ma posso dire che quando studiavo i Deep Purple il mio batterista di riferimento era Ian Paice, se studiavo Led Zeppelin era John Bonham e così via. Nessuno mi confonde con lo stile di un altro batterista e questo è molto importante perché ti fa raggiungere un grado di personalizzazione che ti rende unico nel tuo genere oltre che essere riconoscibilissimo. Io li ho seguiti tutti i batteristi, devo dire e ancora li seguo come, ad esempio ascolto con estremo interesse l’ungherese Gergo Borlai, drummer jazz, che tecnicamente risulta preparatissimo.
Cosa pensi delle band jazz emergenti: quanto c’è di veramente buono?
La contaminazione musicale è oramai diventata quella cosa che rende negativo il momento. Troppa contaminazione, ripeto, che è arrivata dappertutto. Di conseguenza non vi è un genere puro. Il jazz, normalmente, si evidenzia e si distingue con quella che è l’armonia. Noi possiamo, ad esempio, suonare un classico napoletano in swing. Ma questo non vuol dire che si tratti di jazz. Se invece, a questo brano diamo un arrangiamento armonico jazzistico, beh è lì che vedremo la differenza. Per quanto riguarda i nuovi gruppi, che definiamo emergenti, devo dire che questi ragazzi fanno una grossa ricerca musicale. Alcuni di essi risultano piacevoli da ascoltare mentre altri diventano difficili da ascoltare sino a confondere chi ne fruisce. Uso la definizione di musica ‘pesante’ perché in molti casi si imboccano vie tortuose e così facendo si ottiene un qualcosa di confusionario: non si sa se stanno suonando jazz oppure prog. Vi sono, tuttavia, diverse band jazz che fanno quel che devono in maniera superlativa e originale e altre che propongono un repertorio fatto di cover di Miles Davis, John Coltrane, Charlie Parker e Gillespie. Questi gli effetti di quella contaminazione che sta caratterizzando questo momento.