Liste di attesa, tetti di spesa e medici in fuga: la sanità malata costringe i pazienti ad attendere mesi e mesi per un importante esame diagnostico e, di fatto, rende possibili le cure solo ai più ricchi. Benvenuti nel Mezzogiorno d’Italia, dove le eccellenze esistono, sono tante, ma difficilmente vengono valorizzate da un sistema di gestione fortemente burocratizzato e, forse, poco vicino ai problemi dell’utenza. Ne parliamo con Carmine Landi, medico cardiologo, ed esperto di politiche sanitarie territoriali.
Partiamo dalla domanda più scontata: perché esistono le liste di attesa?
Il punto di partenza è uno: la medicina difensiva. In Italia ci sono circa 300mila cause per incolpare i medici e circa 35ila cause per colpa medica. E questo fenomeno si è accentuato con il Covid. Oggi una consuetudine è cercare di dare colpa ai medici per tutto quello che accade; e allora i sanitari, per tutelarsi, chiedono indagini diagnostiche pure se non ce ne sta bisogno. È una reazione dei medici che, pur di non trovarsi in difficoltà, determinano un esubero di richieste di prestazioni. Lo fanno per tutelarsi e questo eccesso di richieste di esami si verifica perché manca il controllo regionale.
Possiamo fare qualche esempio?
Se un paziente 50enne ha alterati i valori della pressione del sangue, c’è un iter da seguire, un discorso di prevenzione, di attività fisica, di eliminare il sale dall’alimentazione… Invece sa che succede? Che di fronte a un 50enne con il valore della pressione alterato, il medico, per un fatto di medicina difensiva, fa ecocuore, doppler delle carotidi… Il medico di base prescrive le analisi che vengono fatte dalla sanità pubblica. Con un semplice esame delle urine, invece, che ha un costo irrisorio, si possono vedere se ci sono tracce di microalbuminuria, e solo in quel caso procedere con esami più approfonditi. Se non ci sono tracce, non ha senso procedere con analisi più approfondite a spese della sanità pubblica. Pensiamo, ancora, sempre sotto il profilo cardiologico, a un soggetto con dolore toracico che potrebbe essere angina ma pure niente. E allora solitamente si inviano i pazienti a fare coronarografie o tac toraciche: sono indagini ad alto costo che potrebbero essere evitate con i test da sforzo. Prescrivere esami che non servono fa aumentare la spesa sanitaria senza alcun controllo e poi nascono i problemi.
Ma come mai questo problema di eccesso di spesa sanitaria riguarda soprattutto il Mezzogiorno?
Al Centro Nord ci sono le piattaforme regionali che contengono indicazioni per le indagini diagnostiche. In sintesi, nelle regioni del Centro Nord non puoi chiedere l’ecocuore se prima non inserisci gli esiti degli esami delle urine, giusto per tornare all’esempio precedente. Da noi, e mi riferisco alla Campania, questa piattaforma esiste ma funziona solo per i farmaci ad alto costo e non per le indagini diagnostiche. Io l’ho detto sempre, anche quando Caldoro era presidente della Regione: in Campania spendiamo in sanità circa 600 milioni di euro l’anno; e di questi soldi, il 20/25% sono spese per prestazioni inutili. Ecco, così si spiegano le liste di attesa nel pubblico.
E nel privato? Sentiamo spessissimo parlare di blocchi per il raggiungimento dei tetti di spesa: cosa c’è che non va?
È proprio questo il fatto: ci sono i tetti di spesa. Fino a un decennio fa i tetti di spesa si raggiungevano solitamente a ottobre/novembre, poi le strutture private continuavano comunque a effettuare le prestazioni, puntando su un contenzioso con la Regione. Invece – e mi riferisco ancora una volta alla Campania – De Luca ha chiarito che non sarebbero state pagate le prestazioni in esubero e ha puntato su controlli e tetti di spesa mensili. E allora cosa accade? Che il tetto viene raggiunto nei primi dieci giorni del mese e quindi poi si va a scalare sui mesi successivi. Chiaramente, il privato ti dice: se ti serve questo esame convenzionato, se va bene, vieni a novembre; ma se vuoi puoi venire adesso a pagamento. Ci rendiamo conto che chi non ha i soldi oggi muore in attesa degli esami?
Insomma, la situazione sembra peggiorata.
Esattamente. Ma la soluzione c’è, è davanti a noi ma non la vediamo. Perché anche in Campania non si lavora con una piattaforma per disciplinare il flusso delle indagini mediche a medio e alto costo? D’altronde per i medicinali ad alto costo funziona già così. E funziona così anche in tantissime regioni al Nord.
Le giro la domanda: perché non si fa così?
Perché poi ci si mette contro i medici di base che così si tutelano giuridicamente e che altrimenti perderebbero ogni forma di protezione. E, diciamocela tutta, poi chi fa una legge del genere perde consenso elettorale. Forse allora anche per questo sono convinto che la sanità debba essere commissariata: il commissario è super partes e non ha bisogno di consensi elettorali. Io resto convinto che il virtuosismo di chi governa sia integrare il privato nelle mancanze del pubblico.
Spesso guardiamo alle eccellenze del Nord: è veramente una sanità tanto lontana da quella del Meridione?
Pensiamo al Veneto, per esempio: qui i tetti di spesa esistono comunque ma il pubblico è perfettamente integrato al privato. E poi ricordiamo che i piani sanitari andrebbero redatti con l’epidemiologia, che studia le origine delle malattie e tiene conto di fattori quali incidenza e prevalenza. Solo su questi calcoli si possono programmare i tetti di spesa; altrimenti siamo all’anarchia totale e all’assenza di ogni tipo di controllo. A proposito di privati, però, è il caso di ricordare che il privato in Campania è una garanzia ma deve essere integrato in un discorso di rete serio. Vero è che il problema è comune a tutta l’area del Mezzogiorno. A Sud c’è una vera e propria giungla: da medico posso chiedere gli esami che voglio, non ho nessun fermo. Con una piattaforma sarebbe diverso…