A volte i libri sono un pretesto per parlar d’altro, come gli articoli o le recensioni. Qui si scriverà di un libro come scusa per parlare del suo autore.
Con il romanzo pubblicato lo scorso mese di aprile (La ragazza immortale – La nave di Teseo), Camillo Langone racconta la storia d’amore tra un maschio di mezza età, apatico colto e benestante, e una giovane studentessa mozzafiato, non solo perché callipigia valorizzata dal tacco vertiginoso e da un incedere eroticamente flessuoso – che, volendo, pure sarebbero elementi sufficienti per ringraziare il Cielo – ma perché femmina fedele alla linea della femminilità, ancorché giovane e spoglia delle angustie e dei tic che sfregiano la vita di tante. L’irrealista, cioè chi pensa che il sesso non sia «binario» e/o si sente in «lotta contro il patriarcato» o, peggio, consideri la fluidità un valore piuttosto che una saltuaria trasgressione, può abbandonare subito sia questo scritto che questo libro, dirottandosi sulle Murgia, le Marzano e le De Gregorio delle quali, peraltro, si abbonda.
Lui si innamora di Benedetta, nomen omen, appena la vede, ringrazia «la sorte per avermi messo in contatto con gambe così lunghe… i femori più sviluppati della media», poi il primo bacio sotto i portici di Bologna preceduto da un appuntamento rigorosamente evitato nella volgare via Indipendenza, flagellata dai negozi tipo Zara o H&M che omologano le strade e i viali di tutto il mondo. Si vedranno sotto le Torri.
La storia di questi due innamorati è molto bella ma non è (solo) qui il pregio del libro. Lo è nelle premesse, nel contesto, nell’humus che ha fertilizzato il racconto e il suo autore.
Il maturo maschio è disperato perché vorrebbe eternare tanta passione per la bella studentessa, spesso angustiata da un esame universitario incombente che non le impedirà di rivelarsi all’altezza della storia, e si scervella sul come fare. L’unica via «di saperla eterna come una dea» è un ritratto, un dipinto affidato a un plotone di artisti veri ed esistenti, come Gasparro, Robusti, De Angelis, Mannelli o Lombardi, quest’ultimo il «più sonico tra i pittori». Si viaggia in auto, una Levante, si corre per le città e le vie e le regioni d’Italia a caccia di questi ritrattisti (del giro degli “Eccellenti pittori” curati dallo stesso Langone nella realtà, cliccare sull’omonimo sito), Benedetta dovrà posare anche nuda e l’«Orsacchione», il «Gattone», com’è da lei definito il maturo e affascinante amato – ma non poteva, Benedetta, scegliere nomignoli meno zuccherosi? -, alla fine di ritratti ne farà realizzare uno per ogni pittore raggiunto, opere finali ispirate dal «…non voglio che muoia. Voglio che Benedetta e la sua bellezza e la sua giovinezza vivano per sempre».
Conviene tuffarsi nella lettura, se ne ricaveranno mille occasioni per ripensare, chissà, a qualcosa di simile vissuto nella propria vita, magari a parti rovesciate.
Un’allarmante – se autobiografica – perdita temporanea della memoria, la caduta da una moto che ci si meravigliava di possedere ed acquistata tra risolini e battutine degli amici sull’età che avanza, un pletismografo da scongiurare se abbinato alla sua Benedetta, la passione comune per la sottolineatura, anche a penna, dei libri, la musica (universalisticamente, cattolicamente apprezzata nelle sue varie dimensioni) il ristorante e il cibo da ordinare, la lettura del menu, un «io mangio tutto» pronunciato da Benedetta che abbatte le nevrosi salutistiche o vegan-vegetariane rapendo così ancor di più il cuore di lui, il vino da far scendere copioso, ma senza esagerare, immaginato per lei troppo grave se rosso, indeciso se bianco, meglio un bel rosato.
Poi una «mini-minigonna» da sballo, la ricerca in Italia dei corsetti inglesi realizzati da Sean Hoffmann (a Roma), il culto del pane, l’offesa patita dal maschio per la tipica accusa femminile («Sei un egoista») che lo costringerà a pensare e ripensare a tante cose e a riflettere sulla gratitudine di chi «a forza di commissioni pittoriche sto facendo di lei la Ragazza Immortale» (in maiuscolo); i soldi, la ricerca dell’atarassia e dell’aponia «e di tutti quegli stati d’animo con l’alfa privativa», lo sbandamento quando lei lo ghiaccia dicendogli «vorrei che venissi a casa» in uno slancio del cuore che riporterà alla mente l’esistenza e l’inquietudine del matrimonio; il periodo Battisti-Panella preferito a quello Battisti-Mogol (come dargli torto), il considerare «tremendamente elegante essere in autostrada la notte di Capodanno mentre gli altri festeggiano».
Come tutte le cose, anche La Ragazza Immortale ha una fine, che vedrà Benedetta stessa scrivere la parte più bella del libro, che qui non riveliamo e se pure lo facessimo cambierebbe poco.
Langone è cristiano in strategia ed epicureo in tattica, perciò cattolico.
Scrisse, una volta, che deve molto al suo Mecenate originario, il super-eclettico-extra-colto Giuliano Ferrara, inventore del più interessante esperimento giornalistico degli ultimi decenni, quel Foglio oggi in fase di transizione vagamente genetica, dove Langone cura, da anni, una rubrica dall’eloquente nome di “Preghiera”, grazie alla quale ogni giorno e senza mai un’eccezione (l’autore si vanta spesso di non aver mai fatto ferie in vita sua) c’è sempre qualche sepolcro imbiancato che si incavola.
Ha scritto libri strepitosi nel corso degli anni, per editori diversi: Scambio coppie con uso di cucina; Il collezionista di città; l’originalissima Guida alla messe, con Langone in modalità critico liturgico, uno spasso e una croce; La vera religione spiegata alle ragazze; il breve trattato ontologico-filosofico Manifesto della Destra divina che, partendo dall’immensa, ultima poesia di Pasolini (Saluto e augurio) scolpisce il trittico delle delizie del conservatore vero arpionando la formula del friulano del “Difendi, conserva, prega” per dire molto altro (a proposito, come mai Langone non cita in questo libro Giovanni Lindo Ferretti? E come mai GLF non cita Langone nel suo ultimo pamphlet “Ora” dove riprende, pure lui, i tre imperativi pasoliniani?); Maccheronica, su cibi, ristoranti, alimenti e anime dannate in sottofondo; Dei miei vini estremi, un titolo che dice tutto, come Pensieri del Lambrusco sorta di breviario utile alla profilassi contro tutti gli «ismi del culturame».
Bisognerebbe aver vissuto un po’ come, si immagina, ha vissuto Langone, letto tonnellate di libri come lui, bevuto ettolitri di vino come lui, mangiato qua e là come lui, triturato città e paesi italiani come lui, pregato qua e là come lui, ammirato (amato?) o comunque raccontato donne come lui, sperimentato la catabasi e riveduto le stelle chissà quante volte come lui, aver letto elenchi telefonici, studiato i cognomi delle persone, aver fatto il Dj e il bagnino e il piazzista di qualcosa, onorato il culto per il tabarro, la caccia e la cacciagione, le armi, le chiese che sembrano chiese, i preti che sembrano preti, l’incenso e gli inginocchiatoi, il sigaro italiano, le cravatte di lana. In lotta continua contro l’accidia, per giunta.
Un consigliabile, scaltro e geniale perito agrario lucano-parmigiano in confidenza con il latino, che ha trangugiato, tenendoli insieme e facendoli rifermentare, Sid Vicious e il cardinale Ratzinger, Vittorio Sgarbi e Thomas De Quincey, Pietro l’Aretino e Giacomo Biffi, Helmut Newton e Palazzeschi, Rubens e Ida Magli, la messa in latino, Pio V e David Byrne, Dante e Jan Garbarek, Sant’Agostino, Ceronetti, Quinzio, Guareschi, l’Aquinate, Testori, Giussani, Pasolini, la pittura oro di Giotto, il Vangelo, la Bibbia, Barry White, Baudelaire, Pascal, San Bernardo di Chiaravalle, Joy Division, Kavafis, Padre Pio, Sandro Penna, i Csi… eccetera.