L’economia “non osservata” – come la qualifica l’Istat nelle sue rilevazioni statistiche – ha una pesante incidenza sul valore aggiunto, soprattutto nel Mezzogiorno dove quasi tutte le Regioni presentano dati al di sopra della media nazionale. Vale per tutto quanto rientra nel calderone dell’economia “sommersa”: vale a dire per le sotto dichiarazioni (dichiarazioni reddituali ampiamente al di sotto della realtà), per il lavoro irregolare, e per tutto quanto può appunto ritenersi nascosto, sommerso, camuffato agli obblighi della legge e del fisco, ivi comprese le attività illegali in senso lato, tra cui i traffici riconducibili alle organizzazioni criminali.
La pubblicazione dell’Istat è dell’ottobre scorso e si riferisce al periodo 2017-2020. Un primo dato che emerge, è che la crisi economica conseguente anche alla pandemia, ha colpito duramente pure l’economia non osservata, che registra nel periodo considerato un crollo del 14,1%, riducendosi ad un valore stimato di 174,6 miliardi di euro (157 relativi all’economia sommersa in generale e 17 alle attività illegali). Rispetto al 2019 la riduzione – tra i due “comparti” – vale complessivamente circa 30 miliardi.
I lavoratori irregolari, nel 2020, vengono stimati dall’Istat in 2 milioni e 926 mila, in calo di 660mila unità rispetto al 2019.
Sotto dichiarazioni e lavoro irregolare valgono 142 miliardi ed incidono sul Pil per l’8,6%; per effetto della crisi, cala del 25% il valore aggiunto connesso all’impiego di lavoro indipendente irregolare.
Le sotto dichiarazioni hanno una incidenza sul valore aggiunto prodotto, decisamente più pesante nelle regioni del Centro-Sud e del Mezzogiorno in particolare: Puglia (7,7%), Campania (7,5%), Molise (7,1%), Calabria e Umbria (7%) si collocano ai vertici della graduatoria nazionale, ben al di sopra della media-Italia (5,3%).
Situazione analoga anche per il lavoro irregolare, dove l’incidenza più pesante sul valore aggiunto si registra in Calabria (8,3%), Campania (6,9%), Sicilia (6,6%) e Puglia (6,2%). La media nazionale è del 4,2%.
Le regioni italiane in cui si registra la più elevata incidenza del complesso delle attività sommerse e illegali sul valore aggiunto, sono Calabria (18,8%), Campania (17,7%) e Puglia (17%). La media Italia è di poco superiore al 10% (10,1%).
L’incidenza percentuale nulla ha a che valere però col “valore” delle imposte evase, giacché se ci si ferma a queste ultime, la graduatoria vede ovviamente ai vertici le regioni settentrionali. L’evasione dell’economia non osservata vale 14,6 miliardi in Lombardia, 9,8 nel Lazio, 8,4 in Campania, 6,2 in Toscana, 6 in Piemonte. In Italia, complessivamente, l’economia non osservata evade imposte per 90,119 miliardi di euro.
La contrazione dei dati dell’economia sommersa e illegale è riconducibile alla crisi economica conseguente alla pandemia, ma anche agli effetti della compliance fiscale, che rende sempre più dura la vita agli evasori. Fatturazione elettronica, split payment, attività di controllo più serrate praticate dal fisco, anche con l’incrocio dei dati presenti nelle varie banche dati, hanno reso la vita degli evasori sempre più dura. Ma il problema di fondo rimane sempre lo stesso: chi è completamente sconosciuto al fisco, continua ad operare in assoluta tranquillità e a farla franca. Soprattutto le attività criminali di stampo mafioso, che poco hanno risentito di tali controlli e di tali sistemi sui propri traffici illegali.
Ne hanno invece risentito – e continuano a risentirne duramente – tutti quanti operano nel rispetto delle regole. Che pure al Sud, per le oggettive carenze strutturali ed infrastrutturali (pesantemente incidenti sui bilanci di famiglie e imprese), è sempre più difficile rispettare.