In un universo in equilibrio, come nella vasca dopo che si è acquietata l’onda, nessun fenomeno ci permetterebbe di distinguere il passato dal futuro. Non potremmo dire in che direzione va il tempo.
Ma ci sarebbe una conseguenza ancora più radicale, per noi. Non potremmo osservare, ragionare, perché per pensare, dissipiamo energia. Non avremmo sensi, perché registrano, cioè sono memorie. Quindi non funzionano in una situazione di equilibrio. Non esisteremmo come esseri pensanti e senzienti.
È perché per pensare, è necessario il disequilibrio che ci è così naturale pensare a un tempo orientato e così difficile accettare l’idea che l’orientazione del tempo non sia fondamentale. Il tempo del nostro pensiero è orientato perché il nostro pensiero è esso stesso un fenomeno irreversibile. Perché noi siamo fenomeni irreversibili. Carlo Rovelli, Buchi bianchi, Adelphi, pagg.144. Fisico teorico, membro dell’Institut universitaire de France e dell’Accademie internationale de philosophie des Sciences, Carlo Rovelli è responsabile dell’Equipe de gravité quantique del Centre de physique théorique dell’Università di Aix-Marseille. Di lui Adelphi ha pubblicato Sette brevi lezioni di fisica (2014), L’ordine del tempo (2017), Helgoland (2020) e Relatività generale (2021). I suoi libri sono tradotti in oltre quaranta paesi.
Un successo fuori ogni dubbio, se è vero come lo è che è così tradotto e quindi, si presume, letto in maniera così spaziale. Un fisico teorico non è di facile comprensione ma Rovelli fa di tutto per essere agevole a chiunque, magari creando disappunti sia agli addetti ai lavori, che si vedono esclusi dal loro gergo abituale, sia ai neofiti, che vorrebbero qualcosa di più specialistico per approfondire i loro studi. Rovelli lo sa e, allora, aggiunge qualche appunto più tecnico. Però, ci sarebbero tutti gli altri, i lettori. Ovviamente la mia è una contrazione piuttosto esagerata, dove tuttavia non sono da escludere i filosofi, gli artisti, gli scrittori, i poeti, i musicisti e tanti altri sfaccendati che di domande sull’universo se ne fanno tante, forse fin troppe. E alla fine, dopo che avranno letto il libro, si troveranno più imprecisi di prima. E quindi in pieno regime quantistico. Nessuna probabilità di certezza tranne che il tempo sia orientato e che noi siamo fenomeni irreversibili. Magari, si appronterà qualche domanda, assolutamente senza nessuna contesa, ma solo per dare qualche altro riverbero o rifrazione.
Una questione sovviene immediata ed è: che cosa di questa irreversibilità sia diversa dalla tradizione del divenire, dalla tradizione nichilista, in altre parole – quelle di Emanuele Severino – da quella tradizione occidentale che da Aristotele e Platone, vede l’ente, le cose, trasformarsi continuamente in un processo che le fa nascere dal nulla e tornare al nulla? Tutto è finito, scrive Rovelli, com’è finita la vita di tutti noi, di ogni organismo vivente, di ogni stella, ogni galassia, di tutte le storie, in quest’universo di gioia e dolore. Neanche i buchi bianchi sono eterni. Qui Severino avrebbe molto da dire, ma lasciamo a ognuno immaginare cosa. Rovelli ama molto divagare e come a qualsiasi autore, colto o meno che sia, piacciono le analogie, le storie, le favole, le invenzioni, le menzogne, le fantasie, che, a ragione, egli utilizza per spiegare cose complesse. In fondo, l’universo è un’intuizione da trasformare in sterminati sillogismi, così egli, oltre che di fisica teorica, si serve della letteratura per tentare di spiegare queste famigerate conformazioni, strutture, fattezze che sono i buchi bianchi. “Arriviamo fino al bordo dell’orizzonte di un buco nero, entriamo, scendiamo giù nel fondo, dove spazio e tempo si sciolgono, lo attraversiamo, spuntiamo nel buco bianco, dove il tempo è ribaltato, e da questo usciamo nel futuro”. Non è stupefacente? Non è una bizzarria enorme? Non è letteratura? No, candidamente scopriamo che è fisica. Scopriamo che cosa sono i buchi neri. Nient’altro che stelle che hanno finito di bruciare l’idrogeno di cui sono fatte trasformandolo in elio, dopodiché esse crollano su loro stesse. I fisici realizzano tutto questo con un segnale radio. Il fischio, ascoltato da milioni di americani nel 1933 e trasmesso dalla BBC, è la radiazione emessa dalla materia incandescente che, prima di caderci dentro, vortica furibonda attorno a un colossale buco nero che sta al centro della galassia. E come spiega Rovelli i buchi bianchi e quindi l’intuizione del tempo rovesciato? Semplice, si tratta di immaginare una palla, un normale pallone di calcio o simile, che all’interno del buco nero precipita fino a toccare il fondo e rimbalza. Ecco la prospettiva rovesciata della palla è il buco bianco. E del tempo orientato. Un buco bianco è un buco nero con il tempo ribaltato. Da dove viene, domanda Rovelli, la direzione del tempo, se non è scritta nella grammatica dell’universo. Ovvio che i fisici teorici vedono con le equazioni ma non si escludono tutti gli altri sensi o le facoltà che può avere una mente predisposta alla curiosità. Leggendo il libro, si scoprono tante cose, per esempio, che i buchi neri emettono calore. Di conseguenza se ne trae che l’emissione di calore è una particolarità dei processi irreversibili. È il calore, scopriamo, che distingue il passato dal futuro. Poche pagine ma dense, queste di Rovelli. Quasi come una stella che collassa e che emette energia. Come ogni libro che apre prospettive, “Buchi bianchi” ha un suo fascino e tante contraddizioni che ognuno tenterà di sbrogliare da sé o di lasciarle così come sono. Rovelli pare dirci sottovoce che anche il disequilibro sia irreversibile. E a che pro, allora, tentare di illuminare le cose, azzardare un assetto, un ordine, una realtà?