Odo augelli far festa. Ancora. Ma la tempesta non è certo passata. Fuor di metafora: mentre per lo scudetto Napoli e provincia restano imbandierate, cellophanate, deturpate da strisce di plastica testardamente e incrollabilmente non biodegradabili, anzi, meglio, “maidegradabili”, si aspetta con sempre più malcelata impazienza il subitaneo riscatto della città e del suo comprensorio con l’avverarsi delle seguenti e ipotizzate mirabilie per poter puntare concretamente alle celebri magnifiche sorti e progressive: aumento dell’occupazione, crescita del reddito medio, bus e metro funzionanti e moderni, incremento degli asili nido, significativo balzo in avanti della raccolta differenziata, costruzione di nuove scuole e nuove carceri, incremento del verde pubblico, decremento della criminalità micro e macro, crollo dell’evasione fiscale e del lavoro nero, servizi pubblici efficienti, stop alla caduta dei capelli, varie ed eventuali.
Come dite, cosa eccepite? Che nessuno aveva parlato di cotanto paradisiaco benessere? E allora, pardòn, che s’è vinto a fare lo storico terzo scudetto? Perché mai s’è stroncata la concorrenza portando in giro la squadra più forte e bella d’Italia, ma che dico d’Italia, d’Europa, ma che dico d’Europa, del mondo intero, meglio – mi voglio rovinare – di tutte le galassie conosciute e da conoscere nel futuro prossimo venturo? Con quale proterva insistenza e blasfemia e perché s’è insistito a scomodare ancora una volta il ricordo dell’argentino numero dieci al quale da oltre trent’anni si chiedono e si attribuiscono miracoli come neanche a San Gennaro, giustamente “faccia ‘ngialluta” ma per l’invidia e la mancanza di rispetto da parte dei napoletani?
E sì, perché se proprio dava fastidio l’eccesso di scomposto entusiasmo, se proprio generava orticaria il trombettare impietoso da mane a sera, se la coscienza green lacrimava per gli alberi rivestiti di plastica, i palazzi imbrattati di vernice, le strade inzozzate di striscioni subito caduti al suolo e lì dimenticati e calpestati – sic transit gloria mundi – se insomma proprio non si sopportava nulla dei calcistici fescennini, beh, almeno il cuore si confortava e lo spirito si consolava con l’abbondanza di sociologici peana e variopinte analisi che, partendo dalle più disparate latitudini e firmate e controfirmate dalle meglio eccellenze in fatto di storia, letteratura, filosofia, appunto sociologia, e mettiamoci anche urbanistica, botanica, meccanica, impiantistica, chimica e fisica (tanto per abbondare o scatta l’epiteto di cafoni), tanta abbondanza di certezze portava a questo: il terzo scudetto si accompagna senza dubbi o incertezze al riscatto della città, alla sua rinascita, alla felicità e al benessere. E dunque, passata e tollerata la fisiologica parentesi temporale legata ai festeggiamenti, s’è preso appunto ad attendere questo riscatto, questa rinascita, questa felicità, e il benessere, ovvio. Pronti a sentirsi finalmente parte di una città europea al passo con i tempi, moderna, efficiente, vivibile, civile, laboriosa.
Ma dai e dai, aspetta e attendi, trascorse le duecento feste e i trecento eventi, incartata la frutta o il pesce nelle duemila osannanti prime pagine di quotidiani, archiviate le due feste allo stadio, s’è rimasti lì, un po’ sorpresi un po’ delusi: e il riscatto, e la rinascita, e il benessere dove si sono fermati, dove si sono impigliati? Avranno mica trovato traffico lungo le strade eternamente e ciclicamente interessate da cantieri? Saranno mica in biblica fila per un documento, un pagamento di pensione, una prenotazione di visita medica? Per caso fossero bloccate per la folla in quel povero slargo dei Quartieri Spagnoli diventato invivibile per un murale che giustifica e copre l’eterno mercato nero di una città che non è mai uscita dalle furbizie del dopoguerra, pure tanto esaltate e diventate oggetto di commedie famose che hanno continuato e continuano ad eternare l’immagine del napoletano che tanto piace fuori da Napoli?
Insomma: dove siete riscatto, rinascita, benessere che vi stiamo aspettando? Ogni tanto ci si affaccia a una finestra o a un balcone, si fa capolino da una terrazza, ci si sporge da un basso, si entra e si esce dalle centomila rosticcerie che appestano l’aria di una città dove nell’Ottocento venivano poeti, scrittori e filosofi per la bell’aria; si guarda di qua, si osserva di là, si chiede, ci si informa, ci si arrende alle voci più disparate come quando si attende invano un autobus. E si aspetta: lavoro, stipendi certi, asili nido, raccolta differenziata, nuove scuole e nuove carceri, verde pubblico, ciao ciao criminalità micro e macro ed evasione fiscale, addio lavoro nero: qualcuno si ostina ad aspettare davvero lo stop alla caduta dei capelli e le varie ed eventuali, come nelle assemblee di condominio. Ma niente, almeno niente ancora: eppure ce lo avevano detto e garantito che sarebbe cambiato tutto; chissà, forse avevamo capito male, e difatti la tempesta non è affatto passata. Anche se ancora odo augelli far festa.