Sfogliamo oggi tre libri molto diversi, scritti da tre donne (una grande scrittrice, un’autrice promettente e una manager diventata guru).
Dacia Maraini, Caro Pierpaolo, Neri Pozza, 240 pp., 18 euro
Non è un libro occasionale, ma un prezioso scrigno di intimità, frutto di un’amicizia con Pierpaolo Pasolini vissuta dall’autrice come “grazia lunare”, un rapporto senza scopo alimentato, nel tempo, dal piacere profondo di ritrovarsi, capirsi, coinvolgersi nel fuoco di una vita che acquistava senso già guardandosi negli occhi, solo palpitando degli stessi palpiti.
L’idea nasce da un sogno di Dacia Maraini: Pasolini le compare e lei gli “parla” con questo libro. E del grande artista e intellettuale, ferita ancora aperta nella coscienza nazionale, ci viene restituita, nella forma suggestiva dell’epistolario postumo, quindi dell’incessante colloquio con la memoria, la sua ricerca dell’innocenza. Tornano così i viaggi della Maraini con Pierpaolo nell’Africa cruda popolata dei sogni della purezza e intrisa di una volteriana cultura incontaminata. Nella trasparenza abbagliante dei popoli arcaici, Pasolini riscopriva il paradiso perduto. Furono viaggi avventurosi, nulla di più distante dai tour organizzati che propongono del continente africano i falsi sogni prodotti dalla civiltà del consumo.
Tra le pagine di “Caro Pierpaolo” emerge la mitezza del poeta, la gentilezza estrema di un intellettuale che viveva (e trasmetteva) le sue idee attraverso il corpo gentile. Le sue parole si facevano carne, ma era la carne (e il corpo) di un uomo solo come un feto, un uomo che Dacia Maraini restituisce allo sguardo e al cuore di quanti gli vollero bene, colmando la sua gigantesca assenza con le parole, che costituivano un mondo magmatico ancora in parte da scoprire. Un mondo nel quale il poeta era più interessato agli ultimi che alla lotta di classe, più ai poveri che al materialismo dialettico. Ed eccola l’altra chiave di lettura che la Maraini ci fornisce per arrivare al cuore del grande artista, quella relativa a un Pasolini probabilmente più tolstoiano che marxista.
Tiziana Rocca, Immaginare l’impossibile. Una storia di vita, di successo e di coraggio, Sperling & Kupfer, 176 pp., 18,90 euro
Immaginare l’impossibile può essere un’attività della mente alla portata di tutti, ma realizzare un obiettivo impossibile è impresa difficile, talvolta proibitiva. E il libro di Tiziana Rocca regala ai lettori proprio una sfida di questo tipo, parlandoci dell’attuazione piena, ancorché progressiva, di un sogno professionale a dir poco ardito.
La Rocca racconta così il suo “miracolo”, aver inventato e costruito – su base inizialmente empirica o, meglio, super artigianale – un’attività (poi diventata professione) che non esisteva, con successi internazionali che l’hanno portata a diventare riferimento e simbolo vincente in vasti campi, con approdi ulteriori nella recente produzione cinematografica. Successi che le hanno fatto guadagnare sul campo l’appellativo di “marketing guru”.
Al di là del racconto di una singolare escalation, colpisce nell’agile libro una riflessione dell’autrice, che si traduce in un’affermazione tutt’altro che scontata: il segreto (vincente) è l’applicazione delle pubbliche relazioni al marketing. Sarebbe questa la chiave di molte delle imprese di Tiziana Rocca. Qui, però, nasce qualche interrogativo. Come tutti sanno, il marketing è un ramo dell’economia molto recente: nacque alla fine degli anni ’50, grazie alle ricerche e alle intuizioni di uno studioso italiano (Pallavicini), ma nelle nostre università, soprattutto nei corsi di Scienze della comunicazione si studia il marketing analitico, quello strategico, ma poco l’altro operativo, che poi è il più importante perché spiega come raggiungere un obiettivo all’interno di una strategia. Perché accade ciò? Il libro non lo spiega, ma Tiziana Rocca, evidentemente per questo gap, va spesso negli istituti universitari e racconta, successi alla mano, come si fa a fare centro.
Sarebbe il caso di portare i contenuti di questo libro e di altri testi che raccontano storie vissute (di successo) all’attenzione degli studenti, affinché alcuni ingredienti necessari per agguantare il primato, che non sono materia di studio, possano essere inquadrati molto da vicino. Parliamo dei punti fermi dai quali è partita la Rocca: coraggio, perseveranza, stakanovismo e utilità del rischio, anche quello non calcolato.
Beatrice Mariani, Amiche di una vita, Sperling & Kupfer, pp. 304, 17,90 euro
Se nel precedente romanzo, “Una ragazza inglese”, il passo della protagonista verso il futuro è ancora da compiere, anche a causa della sua giovanissima età, in “Amiche di una vita” il futuro è già delineato, nel senso che le prime scelte decisive della vita sono già avvenute concretamente. Le amiche sono tre: Arianna ha un bimbo e fare i conti con lui non è semplice; Valentina è già sposata con l’uomo dei suoi sogni e appare già proiettata in carriera; Cristina ha alle spalle una famiglia difficile ed è tormentata da un amore infelice.
Se ne deducono tre elementi che connotano il romanzo. Primo, il tempo. Il romanzo di formazione, quale “Amiche di una vita” certamente è, prescinde dall’età anagrafica. Non vi sono anni definiti per essere giovani e/o immaturi e davanti al tribunale della prova si arriva in qualsiasi momento, anche intorno agli “anta”.
Secondo, lo stile. Per favorire l’immersione nella vita dei protagonisti, in quasi tutti i romanzi di formazione si adotta la tecnica del racconto in prima persona e l’utilizzo più o meno sistematico dei verbi dichiarativi. Qui, invece, l’autrice padroneggia il discorso indiretto libero, il monologo intimo e la descrizione del flusso di coscienza attraverso il gioco delle associazioni.
Terzo, il ritmo. Spesso nei romanzi gli scrittori non riescono a essere, a un tempo, minuziosi e rapidi. La Mariani fa coesistere le due “qualità” narrative agevolmente, con capovolgimenti fulminei delle storie e degli intrecci, resi con frasi brevissime. Più punti che virgole.