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Trasporti, il Pnrr aumenterà il gap tra Nord e Sud

Il programma di investimenti dell'Unione Europea continua a privilegiare il Settentrione, convogliando la maggior parte delle risorse a chi sta già meglio

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Il futuro del Mezzogiorno – e quindi anche della Campania – ruota anche intorno a un efficiente sistema di trasporto pubblico e di mobilità interna. Ma qual è la situazione oggi, e quale quella che si paventa con la realizzazione degli investimenti previsti nel Pnrr?

C’è un minimo comune denominatore tra i due quesiti, e si chiama “gap”: quello che il sud sconta rispetto alle altre aree del Paese e che purtroppo non svanirà affatto – anzi rischia concretamente di acuirsi, con il programma di investimenti finanziato dall’Ue.

Partiamo dalla situazione attuale, e dai monitoraggi del Rapporto sulla mobilità degli italiani dell’Isfort e del CNEL, da Pendolaria 2023 di Legambiente e dagli studi di Openpolis. Incrociando queste analisi, vien fuori il quadro di un Mezzogiorno che, sul fronte dei trasporti è fortemente arretrato e penalizzato, da tutti i punti di vista e per qualsivoglia tipologia di mobilità, rispetto alle altre aree del Paese.

L’età media dei vagoni in circolazione
in Campania è di 21 anni

Partiamo dal dato, riportato in Pendolaria 2023 (quello che assegna per l’ennesima volta alla Circumvesuviana lo “scudetto” di peggiore linea ferroviaria d’Italia) dei treni vetusti: l’età media dei vagoni in circolazione in Italia è di 15,3 anni. Ma si tratta appunto di una media di due valori molto distanti: quello delle regioni del nord (11,9 anni) e quello delle regioni del sud, dove i treni in circolazione hanno mediamente 18,5 anni.

In Campania e Calabria la situazione è addirittura peggiore: i treni hanno in media 21,4 anni (vale a dire quasi dieci anni in più rispetto ai vagoni del nord). Leggere su una nota e popolarissima quanto ironica pagina Facebook dedicata alla Circumvesuviana dei guasti pressoché quotidiani e dei passeggeri appiedati, non sorprende quindi più di tanto. È proprio il parco mezzi dell’Eav (l’Ente Autonomo Volturno che ha in gestione anche le linee della Circumvesuviana) ad alzare l’età media dei treni regionali, contando su un parco rotabile che in media ha addirittura 25 anni. Un quarto di secolo.

I vagoni della Circumvesuviana, definita da Pendolaria la peggiore linea ferroviaria d’Italia

Mediamente in Italia il 43,1% dei treni ha più di 15 anni, ma anche in questo caso la media è “drogata” dai dati – negativi – del Mezzogiorno. La percentuale, infatti, s’impenna al 72,2% in Campania e Calabria, 53,1% in Basilicata, 47,8% in Sicilia, 43,4% (quasi in linea col dato nazionale) in Puglia.

In Lombardia invece soltanto il 40,9% dei treni ha più di 15 anni; in Veneto appena il 24,4% e in Emilia-Romagna il 20%.

Ma non è soltanto un discorso di età. Il ritardo infrastrutturale emerge con evidenza anche dall’analisi quali-quantitativa dei collegamenti ferroviari su tratte regionali. In Sicilia ce ne sono 506 al giorno, contro le 2173 della Lombardia (che ha il doppio della popolazione, ma una estensione sensibilmente inferiore). La Basilicata ne ha 230, la Puglia 889, la Campania 1219. Queste sole tre regioni insieme superano a stento i collegamenti della sola Lombardia.

Discorso di quantità, si diceva, ma anche qualità: tra Napoli e Bari non esistono ad oggi treni diretti di collegamento; come pure tra Cosenza e Crotone (per soli 115 km occorrono un cambio e quasi tre ore di viaggio); in Basilicata è impossibile spostarsi in treno tra Matera e Potenza (e per chi si ostina, tocca mettere in conto 3 ore e mezza di viaggio). Da anni vergognosamente anche chiuse le tratte Palermo-Trapani (via Milo), per una frana del 2013; la Caltagirone-Gela (per il crollo di un ponte nel 2011) e finanche la Corato-Andria in Puglia, per un incidente che nel 2016 causò 23 morti.

Al Sud tantissime linee a binario unico
e ancora non elettrificate

Al sud meno treni, più vecchi su linee in larga parte a binario unico e non elettrificate.

Il Pnrr ha puntato con decisione nel rafforzamento dei collegamenti in alta velocità a sud di Salerno, ma già si parla – lo si è già fatto tante volte in passato con altre tipologie di finanziamenti europei – di stornare questi investimenti, 30 miliardi di euro, per star dentro alle tempistiche imposte dall’Europa.

Per le reti metropolitane la situazione non è migliore (e qui il Pnrr inciderà – come si dirà oltre – solo marginalmente, essendo impossibile realizzare gli interventi nel termine ultimo imposto dall’Ue del 2026).

Tra il 2019 e il 2020, sono stati inaugurati in Italia “zero” chilometri di nuove linee metropolitane, nel 2021 appena 1,7 km. Impennata nel 2022 con 5,3 km, ma riguardano quasi esclusivamente la M4 di Milano. Al sud “il resto di niente”.

La dotazione nazionale di linee metropolitane si attesta a 254,2 km totali. Assimilabili alla sola città di Madrid (291,3) e Parigi (225,2) tanto per farsi un’idea.

Il Pnrr metterà fine a queste sperequazioni territoriali? Dati alla mano si direbbe di no: nella migliore delle ipotesi, le manterrà e consoliderà.

Al Mezzogiorno solo il 38,5% delle risorse
che non ridurranno il gap esistente

Le 22 misure (166 progetti) che in vario modo e per vari interventi finanziano i collegamenti ferroviari con 42,4 miliardi (21,6 del PNRR e 20,7 con altre misure), destinano al sud il 38,5% delle risorse (27,9 miliardi), convogliandone invece su ben 114 progetti del nord il 50,7% (36,7 miliardi), con il grosso delle risorse destinato proprio a chi oggi “sta meglio”: Piemonte (9,8 miliardi), Veneto (8,3 miliardi), Liguria (8 miliardi), Lombardia (6,5 miliardi). Al sud la parte più cospicua dei finanziamenti è destinata a Campania (17 progetti per 7,3 miliardi: 4,1 dal PNRR e 3,1 da altre risorse), Sicilia (9 progetti per 6,3 miliardi), Puglia (27 progetti per 5,9 miliardi).

In Campania il Recovery Plan punta soprattutto sull’alta velocità Napoli-Bari (3,4 miliardi), sull’alta velocità a sud di Salerno fino a Reggio Calabria: ma già si parla, come detto, di tirar fuori questo investimento dal Pnrr); sui collegamenti cosiddetti “diagonali” Taranto-Metaponto-Potenza-Battipaglia per 713,8 milioni; sul rafforzamento dei nodi ferroviari metropolitani (321,2 milioni); sul potenziamento, l’elettrificazione e l’ammodernamento delle reti (234,2 milioni) e sul completamento della Metropolitana di Salerno fino all’Arechi e a Pontecagnano con 234,2 milioni (60 dal Pnrr e 93 da altri finanziamenti). Progetto, quest’ultimo, cui mancano però ancora 81,2 milioni per essere portato a termine.

Anche i capitoli del Pnrr riconducibili al Trasporto Pubblico Locale e alla cosiddetta “mobilità dolce” (9 misure per 7,2 miliardi di finanziamento: 6,1 dal Pnrr e 1,1 da altre misure) non sembrano muoversi nella direzione del recupero del gap nord-sud. Il 37,3% delle risorse (2,7 miliardi) è stato infatti destinato ad 86 progetti delle regioni del sud. Ma al nord andrà il 44,1% del budget: 3,2 miliardi.

Per metropolitane e linee tranviarie moderne, la situazione non cambia. Per le prime i 9.374.670.106 euro sono stati ripartiti per il 43,2% al sud e per il 50,5% al nord (6,2% al centro). Non proprio una politica finalizzata a colmare i gap territoriali.
E le pesanti discriminazioni nord-sud per le poche tratte metropolitane previste (le poche realizzabili nei tempi contingentati) permangono ed anzi si consolidano. 795 milioni sono destinati dal PNRR al nuovo collegamento tra la Stazione di Afragola e piazza Garibaldi, a Napoli, fino a piazza Carlo III. Una linea metropolitana che dovrebbe facilitare gli spostamenti tra la nuova stazione l’aeroporto e il centro della city. Tutto il resto della misura (4,4 miliardi) finisce al nord: al prolungamento della metropolitana di Genova (20,8 milioni); al progetto Sky per la metro in Val Bisagno (398 milioni), al prolungamento della M1, della M3, della M4 e alla progettazione della M6 a Milano (610 milioni); alla linea 2 della tratta Politecnico-Rebaudengo a Torino (un miliardo di euro), oltre alla nuova tratta della linea C di Roma fino a Farnesina (1,6 miliardi).

Per le tranvie (5.087.181.841 disponibili), la situazione è pure peggiore: a farla da padrone sono ancora una volta le regioni del nord, che si accaparrano il 50,73% delle risorse (2,6 miliardi), quelle del centro e le insulari (35,3%). Alle regioni del sud, appena il 13,92%.

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