Accanto alla firma di chi scrive un articolo o con un asterisco nel finale, a volte compare il titolo dell’autore: dottore, avvocato, professore, scrittore, giornalista, politico, eccetera. Nel caso nostro si rende necessario questo preambolo: “Giornalista, già proprietario, anzi padrone, di tre cocker spaniel, un bull dog inglese, uno schnauzer gigante, due incroci di pastore tedesco, un gatto delle foreste norvegesi, due siamesi, un numero imprecisato di soriani, due tartarughe d’acqua nordamericane, diversi pesci rossi, un acquario con decine di pesciolini esotici, due canarini, un cardellino, una tartaruga di terra. Questo in passato: per l’oggi, l’articolista dispone di una sola bastardina, che definiremo “meticcia” in ossequio preventivo allo Zeitgeist.
E ora andiamo alle nostre cose.
«Conosco donne che, per svoltare l’autunno, a settembre si iscrivono a un corso di yoga oppure comprano un cane». La frase risale a una decina d’anni fa circa, è di Camillo Langone, scrittore lucano-parmense – non chiamatelo giornalista, si offende – del quale saccheggiamo spesso il repertorio, tra i più abrasivi siccome realista, di quel realismo che solo il cristiano, naturaliter cattolico, riesce, forse, a conservare intatto. Con due-righe-due, Langone rende oziose intere biblioteche di saggi sociologici e studi di psicologia delle masse e degli individui, oltre che di demografia, proprio ora che tutti sembrano accorgersi, con almeno venti anni di ritardo, della senescenza desolante in cui brancoliamo con 7 nascite e 12 morti ogni mille italiani (Istat, Aprile 2023).
L’Italia sta scomparendo
mentre aumentano i dog sitter
“L’Italia sta scomparendo” ha twittato Elon Musk poco tempo fa, indovinando l’esito di questo incubo cui ogni reduce del realismo, appunto, guarda sconfortato. Al riguardo, omaggiando il titolo di un celeberrimo saggio di Carlo Maria Cipolla (Le leggi fondamentali della stupidità umana), lo trovi sempre il “cretino”, spesso organizzato in gruppi di successo, che ci spiega che la denatalità è effetto esclusivo della precarietà del lavoro: poco tempo fa l’ha ripetuto, va da sé, il segretario del principale partito che ha segnato la vita pubblica italiana nell’ultimo trentennio (si chiama Pd) ignorando d’esserne lei stessa, il segretario, perfino personalmente oltre che politicamente, l’incarnazione di causa e sintomo.
Tra i segni più evidenti di questa progressiva tendenza all’estinzione – anche le società si suicidano, non solo le persone- c’è sicuramente il numero elevato di animali presenti nelle nostre case. Basterebbe concentrarsi sulla fotografia che abbiamo dinanzi se puntiamo lo sguardo per strada: molti stranieri, oggi definiti d’obbligo “migranti” quasi fossero poetici uccelli carducciani, tantissimi anziani, zero bambini e donne, molto spesso giovani e in età fertile, con uno, due, anche tre o quattro cani al guinzaglio. Hans Magnus Enzesberger scrisse una volta che «il dog-sitter è uno di quei mestieri superflui con cui persone superflue si guadagnano da vivere», ma, a parte il sarcasmo utile alla ritmica di questo scritto, non è lo sbocco professionale offerto dal settore che qui interessa.
Numeri asettici e implacabili, come quelli del Rapporto Assalco-Zoomark 2022 (l’associazione nazionale dei produttori di cibo per animali) basato su dati Euromonitor, raccontano molto e spiegano altrettanto. Ne ha scritto in uno strepitoso reportage per la copertina di febbraio dell’edizione cartacea di “Tempi” la giornalista Caterina Giojelli, traendo spunto dal quale abbiamo provato a capire cosa accada in Campania e in provincia di Salerno spalmando il dato nazionale sul numero di abitanti: tutto incrociato, poi, con i dati demografici – estranei al Rapporto Assalco-Zoomark – disponibili per chiunque abbia voglia di leggerli. Esercizio non scientifico, questo è scontato, ma d’aiuto per leggere e provare a interpretare il fenomeno.
La prima cosa che colpisce (il realista) è che il totale di cani, gatti, pesci, piccoli mammiferi, rettili ed uccelli presenti nelle case degli italiani è superiore al totale delle persone: gli animali sono quasi 65 milioni, gli umani non raggiungono i 59 milioni. Le famiglie, invece, in Italia sono circa 26 milioni. Vista la costante crescita della tendenza, senza contare tutti gli altri animali, nel giro di qualche anno avremo mediamente almeno un cane o un gatto in ogni famiglia, già oggi sono quasi 19 milioni. I bambini fino a 10 anni in Italia sono meno di 5 milioni e solo i gatti sono più del doppio, oltre 10 milioni. Se aggiungiamo anche i cani, che sono quasi 9 milioni, in pratica per ogni bambino fino a 10 anni abbiamo 4 tra cani e gatti.
E veniamo ora alla patologia del sistema, la stessa che continua a vederci indifferenti nei supermercati dinanzi a scaffali per il “Pet” (miliardesimo anglicismo, che almeno ha il pregio della brevità, per dire animali domestici) che diventano sempre più grandi e forniti, contro scaffali per neonati e bambini sempre più timidi e striminziti. I primi si allargano a vista d’occhio, i secondi battono in ritirata. Solo per l’alimentazione dei cani e dei gatti, esclusi tutti gli altri animali e tutte le altre voci di costo (veterinari, vaccinazioni, “abbigliamento”, tappetini igienici per la casa, cotillons per i «complecani» ed altre amenità quali beauty farm e ozonoterapia per bestie che preferirebbero di certo rotolarsi negli escrementi degli animali selvatici come sa chiunque abbia avuto almeno un cane nella vita) gli italiani spendono circa 2,5 miliardi all’anno, scrive il Rapporto Assalco. Il che significa che per ogni cane o gatto si spendono mediamente 130 euro (sempre spalmando arbitrariamente il dato assoluto).
6 milioni di animali solo in Campania
Per ogni bambino quattro cani e gatti
La Campania è circa un decimo dell’Italia, quindi la stima, basata su questa forma di calcolo artigianale, è che ci possano essere nella nostra regione circa 6 milioni di animali a fronte di quasi 5,6 milioni di abitanti. Mentre il numero di cani e gatti si aggirerebbe sui 2 milioni, anche in Campania per ogni bambino fino a 10 anni ne avremo 4 tra questi (cane o gatto).
Solo per il cibo di cani e gatti – poltiglia gelatinosa di scarti e rifiuti alimentari o palline simil cartone/granone deodorate con essenze
di carne, pesce e altre sostanze del genere chiamate “croccantini”- in Campania si spenderebbero ogni anno circa 250 milioni di euro: duecentocinquanta milioni di euro sarebbero circa cinquecento miliardi delle vecchie lire, per dire.
La provincia di Salerno conta poco più di un milione di abitanti, quindi si può stimare – sempre in base a questo calcolo parallelo – un numero complessivo di 1 milione e 100mila animali e di circa 350 mila tra cani e gatti. I bambini fino a 10 anni in provincia sono circa 90 mila, dunque anche qui abbiamo, per ogni bambino, ben 4 tra cani e gatti. La spesa per la sola alimentazione di cani e gatti in provincia di Salerno è stimabile così intorno ai 45 milioni di euro ma è, forse, una cifra addirittura sottostimata. Volendo scomporre i numeri ulteriormente, significa che ogni santo giorno si spendono in provincia di Salerno circa 123 mila euro per sfamare cani e gatti (in Italia, invece, siamo a quasi 7 milioni al dì).
Agenzie funebri per pet
nuova forma di business
A riprova che tutto si tiene (avete presente il cibo «vegano» per il gatto, animale carnivoro per eccellenza? C’è anche quello) si può idealmente azzardare che il prossimo passo sarà l’adorazione di alberi o piante rapiti dall’eco-omelia di qualche druido allevato nei seminari di Wwf, Legambiente o Green Peace, genitori di ogni setta o acronimo animalista presente in scena, tutte “Ong” dalla radice profondamente anti-umana sebbene dall’ottima reputazione. Valga il seguente esempio per capire di cosa parliamo e quale sia la vera partita in gioco tra mille altre: nel novembre del 1989 Fulco Pratesi, incontestato e storico leader italiano della milionaria associazione col Panda in effigie, nel supplemento alla rivista “La Nuova Ecologia” (n.68) dedicato all’ecologia domestica, affrontando il problema della morte sostenne che bare, funerali e sepoltura fossero pratiche troppo inquinanti e, quindi, secondo l’impostazione di questo padre dell’ambientalismo italiano, le soluzioni potevano essere soltanto due: sistemare i cadaveri dei morti su appositi carnai in modo da diventare cibo per i rapaci a rischio estinzione, oppure – testuale – «creare apposite scatolette di cibo per cani e gatti in cui la carne umana sostituisca una percentuale di quella degli altri animali». Chiaro, no?
In realtà, già ci siamo da tempo dentro quel «mondo nuovo» che neppure Huxley, forse, immaginava così ravvicinato: non saranno sfuggiti, nel corso di questi anni, i funerali o le preghiere collettive per la mala sorte del ghiacciaio, della montagna, del fiume. Infatti, vediamo oggi spuntare anche le agenzie funebri «per i nostri amici a quattro zampe», con tanto di servizio manifesti, cremazione o sepoltura per accompagnarne il passaggio nell’aldilà. E tutto senza ridere. Animismo 4.0, una delle nostre famose conquiste di civiltà. Animali e Natura con le maiuscole, insomma, e non è neppure indispensabile scomodare il vitalismo totemico di Freud per spiegarsi queste neo idolatrie da vuoto esistenziale e culturale: è sufficiente la realtà, quella con la testa dura.
Restando in un ambito collegato al tema di questo articolo, al netto di giganteschi interessi economici c’è infatti chi crede veramente al Protocollo di Kyoto o a quello di Parigi o altri (da qui a credere a quello dei Savi di Sion è un attimo), quando e dove le nazioni si sono riunite e hanno deciso che la Terra ha la febbre, quindi va abbassata la temperatura, magari per decreto. Eziologicamente, secondo questa ulteriore superstizione “illuminista” dopo il darwinismo ottocentesco, la febbre del pianeta causata dall’azione dell’essere umano. Lo dice la scienza, dicono, che per molti coincide con l’Ipcc (googlare Onu), un “luogo” dove è lecito supporre si sia molto d’accordo con sé stessi e ci si facciano tanti complimenti reciproci, specialmente quando gli Stati scuciono il danaro per non far sudare la Terra. La verità è che almeno due terzi degli scienziati di settore pensano il contrario, ma di loro e dei loro studi si parla e si discute poco, non sono funzionali alla diffusione di questa nuova teoria magica frutto dell’overdose di hybris. Una storia vecchia quanto il mondo.
La relazione tra questo universo “culturale” e il sacchetto e la paletta per raccogliere le feci dei cani in strada è più intima di quanto si possa sospettare.
Siamo tutti dentro a questa bolla, tra anime-animali da inserire in costituzione e peti vaccini da ridimensionare, ipnotizzati dagli scombiccherati discorsi da fattucchiera millenarista di una ragazzina svedese con evidenti problemi di adattamento ma non (più) di portafoglio.