Forlì, 4 gennaio 2019… è ormai ora di pranzo. La Caffetteria del grande complesso conventuale di S. Giacomo Apostolo in S. Domenico è invece piccola ma la piadina la sanno fare bene. Quella farcita con lo Squacquerone di Romagna DOP, prosciutto crudo e rucola, è uno dei modi migliori per gustare questo delizioso formaggio dell’Emilia Romagna. Lo Squacquerone è un formaggio a pasta molle, realizzato con latte vaccino, privo di crosta ed ha la forma del contenitore in cui viene conservato. È un formaggio cremoso che si abbina perfettamente, praticamente a tutto. Meglio se accompagnato da un calice di Albana, un vino romagnolo, secco e di carattere, con bouquet intenso e gusto vibrante.
Saliamo al secondo piano, del complesso di S. Domenico dove è stata allestita una delle mostre fotografiche più interessanti dell’anno, quella intitolata Ferdinando Scianna. Viaggio Racconto Memoria, a cura di Paola Bergna, Denis Curti, Alberto Bianda.
È ovviamente dedicata all’opera del maestro nato a Bagheria il 4 luglio del 1943, il primo fotografo italiano a far parte, dal 1982, dell’agenzia fotografica internazionale Magnum Photos. Realizzata con circa 200 immagini in bianco e nero stampate in diversi formati, assistita da audio guide ad attivazione automatica al passaggio del visitatore nei pressi delle opere, commentate dalla voce dello stesso Scianna, la rassegna attraversa l’intera carriera del fotografo siciliano e si sviluppa lungo un articolato percorso dedicato ai diversi temi affrontati dal maestro. Dopo l’esordio a Forlì (fino al 6 gennaio 2019), promosso dalla Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì e da Civitas srl in connessione con la Settimana del Buon Vivere, la mostra sarà presentata in varie città, in Italia e all’estero, a partire da Palermo (Galleria d’Arte Moderna) e Venezia (Casa dei tre Oci) nel corso del 2019.
Ho conosciuto Scianna perché era amico di Annabella Rossi. Durante le sue lezioni parlava di lui, diceva che aveva fotografato le feste religiose della Sicilia, quelle che assomigliavano alle Feste dei poveri che aveva studiato lei, nel Mezzogiorno d’Italia. Quelle feste poco amate dalla gerarchia cattolica e dalla buona borghesia. Quelle feste che per capirle dovevi – raccontava la Rossi a noi studenti – percepire l’odore “altro” che si respira nei santuari di montagna, di notte, tra i pellegrini semiaddormentati che si riscaldano cantando la loro devozione alla divinità.
La potenza ossimorica delle foto di Scianna
che mostra la realtà in maniera fantastica
Scianna, il fotografo delle feste siciliane che raffigura in immagini B/N ottenute da negativi “sottoesposti” e tirati al massimo in fase di sviluppo, con i sali d’argento ingigantiti fino a diventare ciottoli. Immagini sgranate che sembrano evocare, più che mostrare, i soggetti; magicamente ma anche realisticamente convocati innanzi a chi le osserva. Ovvero: potenza dell’ossimoro fotografico che mostra la realtà sempre in maniera fantastica, traslata eppure restituendocela come vera.
Come tutti sanno, Leonardo Sciascia scrisse di Scianna: «È il suo fotografare, quasi una rapida, fulminea organizzazione della realtà, una catalizzazione della realtà oggettiva in realtà fotografica: quasi che tutto quello su cui il suo occhio si posa e il suo obiettivo si leva obbedisce proprio in quel momento, né prima né dopo, per istantaneo magnetismo, al suo sentimento, alla sua volontà e – in definitiva – al suo stile». Perché il famoso libro sulle feste siciliane fu scritto dal grande intellettuale di Racalmuto e illustrato dai capolavori del fotografo di Bagheria (Leonardo Sciascia, Feste religiose in Sicilia, fotografie di Ferdinando Scianna, Leonardo da Vinci editrice, Bari, 1965).
Annabella Rossi conosceva bene il talento del suo amico fotografo. Spesso diceva: «Qualche volta mi è capitato di lavorare con Ferdinando Scianna che mi ripete sempre che la differenza che c’è tra lui e me consiste nel fatto che io documento analiticamente, mentre lui tende a dare un’immagine sintetica dei fatti (cfr. Annabella Rossi e la fotografia, a cura di V. Esposito, Liguori, Napoli, 2003, p. 23)». E lui, il fotografo, aveva scritto di lei, l’antropologa: «A seguire ci fu un altro giro nel Sud, soprattutto in Campania e Basilicata con Annabella Rossi e Roberto [Leydi] alla ricerca della magia popolare, dove, grazie anche alle conoscenze di Annabella, abbiamo documentato cose incredibili, per esempio quello straordinario fenomeno magico-religioso che occorreva a Serradarce, vicino a Eboli (cfr. Ferdinando Scianna, In viaggio con Roberto Leydi, Squilibri editore, Roma, 2015)». Si riferiva alla ricerca sul culto extraliturgico del Beato Alberto che aveva portato la Rossi a pubblicare, insieme a Scianna, il libro intitolato Il glorioso Alberto, (Milano, Editphoto, 1971) e, da sola, un secondo volume il cui titolo era Un caso di magia tra i monti picentini (Università degli Studi di Salerno, 1976).
Le foto di Serradarce sono però quasi del tutto assenti dalla mostra di Forlì se si esclude quella che ritrae la parete del “tempio” del Beato Alberto con centinaia di fotografie/ex-voto dei miracolati/seguaci/fedeli di Giuseppina Gonnella, la zia di Alberto che, dichiarandosi posseduta dallo spirito benevolo del nipote, morto in maniera violenta e disgraziata, provava a capire e a lenire i malesseri fisici e spirituali di coloro che non avevano altro mezzo che le pratiche magiche per non perdersi di fronte alla complessità del mondo.
Quella complessità intrecciata e globale del mondo che Ferdinando Scianna ha riproposto nella mostra forlivese, ricca di immagini della Sicilia, di Bagheria, del manicomio di Gorizia diretto da Franco Basaglia, di animali domestici, randagi e d’allevamento, dell’India e del Giappone, di Parigi e di Baghdad, della Spagna, della Costa d’Avorio, di Enna e delle sue processioni della Settimana santa, di Orgosolo e della Bolivia…
Ritratti, feste religiose ma anche moda
e gente comune del mondo reale
E poi i ritratti. Di uomini, donne e bambini, di intellettuali e sconosciuti. Del suo amico Sciascia, di Roland Barthes e Jorge Luis Borges. E poi quella tenerissima immagine di Jaques-Henri Lartigue, fotografo per mestiere, ragazzino per indole, mentre a novant’anni d’età, nel 1984, viene pettinato dalla moglie, come un monello che si è divertito a giocare fino a un attimo prima, che la madre rimette in ordine per la posa fotografica.
La mostra si chiude con le foto di moda, soprattutto quelle delle collezioni di haute couture di Domenico Dolce e Stefano Gabbana. Scianna riporta quel mondo rarefatto e fatato sulla Terra, tra la polvere del Cairo, in Egitto, tra le scale di Caltagirone, tra le strade e le case di Bagheria. Tra la gente comune del mondo reale (ancora un ossimoro possibile grazie alla fotografia). Solo così, sulla Terra degli uomini, il seno statuario di Marpessa la modella che ha posato in molte location per il fotografo Scianna, quel corpo perfetto appena velato dall’abito del duo D&G, ci appare fatto di quella stessa umana materia, mosso dalla stessa volontà antropopoietica, dagli stessi sentimenti universali, dagli stessi sogni di quel giovane di colore, in guepiere e calze a rete, che si trucca per le strade di New York, fotografato da Scianna in occasione della sfilata del Gay Pride del 1985.
«Insomma, – come in altra occasione ha lui stesso affermato – siamo uomini anche perché produciamo immagini, e produciamo e consumiamo immagini perché siamo uomini, per costruirci come individui dotati di coscienza (F. Scianna, Lo specchio vuoto. Fotografia, identità e memoria, Laterza, Roma-Bari, 2014, p. 11). Riflessione, questa, antropologicamente saggia e condivisibile.
(Fine)