Dobbiamo chiamarle con il loro nome le cose oppure no? Sì, non solo sarebbe giusto ma pure conveniente, perché il rischio di essere intrappolati in una specie di ruota per criceti è già realtà. Dalla corsa all’eufonia – che fa rima con anestesia – nascono locuzioni come «utero in affitto», «gestazione per altri», «gravidanza solidale» se non addirittura «altruistica». E’ la gran discussione di queste settimane.
Il tentativo banalmente dissimulatore della realtà andrebbe, invece, sintetizzato nella più adatta formula del «traffico di esseri umani» e chi vi ricorra è un «trafficante di esseri umani», precisamente di neonati, roba da far mangiare la polvere agli scafisti di ogni mare.
Se la verità è sempre una soltanto, nel nostro caso diverse sono le formule per onorarla. Potrebbe andar bene anche “commerciante di bambini”? Potrebbe, farà capire che “solidale” è un belletto, è l’indorare della pillola per i tre volte buoni, come dicono in Sicilia, lo zucchero nella medicina amara, tanto zucchero. Ma commerciante o trafficante di bambini esauriscono le nostre possibilità linguistico-concettuali? Non è detto, c’è una sottocategoria logica che pure potrebbe prestarsi: “programmatori della nascita di orfani”, ecco, anche questa è espressione cucita su misura, dove, con formula giuridico-burocratica, andrebbe aggiunto «dietro corrispettivo in danaro a una delle parti». Volgare moneta e non amore, dunque, nella nostra obamiana epoca progressista del #loveislove? Tutto in nome di questo famoso “amore”, un amore che non ama la realtà però, e per chi voglia vederla e raccontarla per quel che è, la strada è in salita: poteva andare peggio, nel senso che se fosse passata la legge Zan, per esempio, anche quest’articolo non sarebbe pubblicabile in quanto portatore in dote di qualche anno di carcere o di rieducazione sociale in nome dell’amore. Non è passata politicamente, la legge, “culturalmente” però trionfa da anni, una storia che viene da lontano e che solo il principio della finestra di Overton può spiegare. Direttive e convenzioni Onu, Ue, circolari ministeriali, programmi didattici fin dalle scuole elementari, Tv, giornali, radio, web, una surrettizia penetrazione che mattoncino dopo mattoncino ci ritroviamo oggi fin dentro casa, dove perfino lo sport, calcio in testa (e dove sennò?), s’è piegato all’andazzo con atleti resi ridicoli da simboli arcobaleno dipinti sul volto o da una giarrettiera allacciata su bicipiti ritualmente tatuati. Eppure, proprio per sottrarsi al ridicolo, bastava fermarsi agli epigrammi di Marziale, alla sua indimenticabile e intelligente ironia sul barbuto Callistrato convolato “a nozze” col pettoruto Afro tra le risate dei pur disinibiti romani. In compenso, oggi abbiamo l’Arcigay, Fedez, Cecchi Paone ed Elly Schlein.
Negli ultimi giorni l’argomento è tornato alla ribalta per la petulante insistenza dei sindaci di alcune grandi città, ovviamente tutti di sinistra, compreso il “nostro” primo cittadino di Napoli Gaetano Manfredi (a Salerno, nonostante vi sia un sindaco garbato e “al passo coi tempi” su questi temi, per fortuna c’è l’ombra di De Luca che, almeno finora, ha fatto da argine a questa roba) i quali, avendo già risolto ogni problema di fogne e case popolari, traffico e illuminazione pubblica, dispongono evidentemente di molto tempo libero: tutto dedicato alla pretesa di violare la legge 40/2005, che considera l’utero in affitto un reato, attraverso il riconoscimento anagrafico dei figli delle coppie omosessuali acquistati nei paesi dove ciò è possibile, a partire dal Canada del premier Justin Trudeau, nazione anch’essa in via d’estinzione accelerata proprio per le politiche sin qui adottate in materia “antropologica”. Il primo ministro nordamericano, si sa, s’è detto «preoccupato per i diritti Lgbt in Italia» al cospetto del nostro presidente del Consiglio durante il bilaterale Italia-Canada dell’ultimo G7. Peccato che Meloni non gli abbia prontamente risposto: «Caro Justin, ci spiace che tu sia preoccupato ma, sai com’è, in Italia è ancora vietato comprare e vendere essere umani». Ma tant’è.
Naturalmente, la gnagnera nella quale stanno annegando anche le migliori menti, è presentata dal caravanserraglio omosessualista come una discriminazione di questi bambini ai quali – udite udite – sarebbe «negato il diritto di avere un genitore»: cioè, per i Manfredi, i Sala e acrobati vari del tendone, non sono state quelle coppie a cancellare uno o entrambi i genitori di quei bambini, bensì sarebbe questo perfido ordinamento giuridico italiano a farlo perché “si rifiuta” di far finta che non sia un reato – oltre che una pratica turpe ed ignobile in sé, al di là della ratio giuridica – comprare essere umani, impedendone così la registrazione all’anagrafe. La triste vicenda è andata di nuovo in scena nei giorni scorsi a Torino e fa il paio con l’altrettanto triste parabola di un già glorioso quotidiano torinese, legittimo sponsor principale della zarzuela arcobaleno.
Tornando alle domande iniziali, c’è forse un aspetto “solidale” e “altruistico” che il nostro intimo becerume impedisce di vedere nella sua nobiltà? Peggio ancora, il famigerato sterco del diavolo almeno offre una spiegazione ma, se mancano le banconote o il bonifico, residuano solo lo squilibrio mentale o il nulla esistenziale di cui cibarsi per “farsi” un figlio. Spesso le due cose vanno a braccetto, cioè da un lato c’è la coppia decisa a tutto pur di soddisfare il proprio capriccio (il desiderio è già categoria superata), peggio ancora se coppia omosessuale, dall’altro un essere umano, di sesso femminile, povero o disturbato nell’anima o entrambe le cose. Ci muoviamo quindi nella suburra dell’umanità, sia guardando verso l’alto che verso il basso. Cos’altro può essere un individuo che decide di tranciare la catena del sangue di un altro individuo piagnucolando contro un destino beffardo che, una volta non gli consente di avere un figlio per ragioni tecniche, un’altra per ragioni sessuali, pretendendo pure che la famosa generalità dei consociati gli applauda ex lege? Risposta semplice: è uno che programma orfani, che si accorda con suoi pari per farlo, che scuce un bel pacco di soldi e decide che quell’individuo sarà orfano, parziale o totale, comunque orfano. C’è un solo uomo su questa Terra titolato a cambiare il destino di un altro amputandone l’esistenza perché a furia di leggere Repubblica, Stampa, Corriere o guardare il pomeriggio di Rai1, Canale 5, o tutta La7 et similia si è convinto che è un suo diritto?
La formula del “dove c’è amore c’è famiglia” è nota ma non merita chiose, almeno non ora, non foss’altro perché ci ricorda i tempi del ginnasio quando ci inebriavamo coi primi ragionamenti relativistici sul genere «non è bello ciò che è bello ma è bello ciò che piace». Il punto è che sembra di essere tutti dentro ad una gigantesca assemblea d’istituto, luogo ideale per la coltivazione della lagna sotto l’usbergo dei diritti civili, ora c’è pure un nuovo segretario politico di un importante partito che ne racchiude l’essenza scegliendo questo traffico come piattaforma politica e programmatica tra gli applausi di molti cacicchi cattolici adulti.
Tonnellate di caratteri si sprecano in queste ore nel tentativo di convincere il mondo che due più due non fa più quattro, anzi che non ha mai fatto quattro, che miliardi e miliardi di miliardi di uomini nel corso della storia non hanno capito niente, a differenza dei corifei dei Tiziano Ferro, dei Cristiano Ronaldo, dei Luxuria o dei Nichi Vendola che invece hanno capito tutto. E ce lo spiegano pure mentre ci rieducano con martellante propaganda a reti e giornali unificati in preparazione dell’arcobaleno dell’avvenire: roba da far provare nostalgia per la falce e il martello pre-1968 (data convenzionale di avvio della corsa verso il baratro), quando i comunisti e i socialisti erano ancora persone normali e il “diabete” sociale non aveva loro ancora corroso il cervello per l’abuso di zucchero. Oggi i marxisti autentici scarseggiano e questo grande filone politico-culturale non ha prodotto a valle l’agognato superamento del capitalismo: lo ha, invece, portato al limite estremo trasformando direttamente un essere umano, peraltro il più debole e indifeso, in una pura merce. Solo che non se lo vogliono sentir dire, ecco perché provano in tutti i modi a introdurre nella legislazione questa “cultura”, accanto a disegni di legge «contro l’odio» ma di questo sostanzialmente impregnate.
Non c’è, invece, da vivisezionare alcunché, non c’è da bizantineggiare con la scomposizione di norme, leggi e circolari, magari targate Ue, non c’è equilibrio né continenza verbale da osservare, la realtà ha la nota dura cervice. Proviamo a immaginare i titoli dei media con le parole vere e non con quelle da bazar del maquillage sedicente progressista: “L’Europa stigmatizza l’Italia perché non riconosce la filiazione ai trafficanti di neonati”; “Scontro sui diritti dei programmatori di orfani comprati in giro per il mondo”; “La Cassazione si dovrà pronunciare sul riconoscimento dei diritti genitoriali ai commercianti di neonati”. Sarebbe diverso l’effetto? Forse.
C’è poi anche un problema di tassonomia in questa vicenda, un’errata gerarchia delle priorità da elencare. Dice: hai dimenticato la mercificazione del corpo della donna. Ecco, della “mercificazione del corpo della donna” non è che ci interessi più di tanto – considerato singolarmente, ognuno mercifica quel che vuole e che può – pur restando comunque un argomento forte nella grande guerra antropologica in atto. Solo che in un’immaginaria graduatoria delle ragioni per fermare, se necessario anche brutalmente, questa pratica nazi-eugenetica (vedi alla voce catalogo delle caratteristiche biologiche del bambino da selezionare, o le fiere sparse per il mondo come quella appena svoltasi a Milano in via Mecenate) la questione della donna incubatrice a gettone viene dopo, subito dopo, non prima di quella del bambino, che è la questione centrale da cui partire.
Insomma, non c’è bisogno di puzzare di sacrestia per capire che puoi illuderti e simulare tutti i nidi che vorrai ma, a meno che tu non sia un cuculo, l’uovo puoi soltanto acquistarlo. O rubarlo.
In nome dell’amore e dei diritti, s’intende.