«Le Borboniche» (Utet, pp. 512, € 25) é il nuovo libro di Gigi Di Fiore. È una ricostruzione al femminile del regno delle Due Sicilie dal 1734 al 1861, raccontata attraverso le biografie in successione delle 8 mogli dei 5 re Borbone. Qui – per gentile concessione dell’autore e dell’editore – un’anticipazione del capitolo finale del libro, sull’estremo esilio dell’ultima regina Maria Sofia di Wittelsbach di cui il 19 gennaio prossimo ricorrerà il centenario della morte.
Agli inizi del secolo delle automobili e della radio, l’ex regina di Napoli era ancora un personaggio che incuriosiva. E in tanti, nel suo esilio a Parigi e poi a Monaco, chiedevano di conoscerla. Soprattutto italiani del Sud, commercianti, imprenditori, artisti. Lei li riceveva, ascoltava, parlava con fierezza e chiedeva notizie di Napoli. Incontrò anche Matilde Serao, la cofondatrice del “Mattino”, che le fu presentata da Giulia Rothschild. Le parlò prima in francese, con “accento purissimo”, poi in italiano e, a quelle parole, alla Serao si iniziò a «stringere il cuore, per lei, per il suo sogno distrutto, per la sua vita trafitta dalla freccia mortale dell’infortunio reale, per la sua desolata vedovanza, per ogni sua speranza uccisa». Proprio alla Serao mostrò gli acquerelli dipinti dal marito Francesco II, che ritraevano vedute del Vesuvio, ripetendo con commozione: «No, il mio re non fu un imbecille». A Monaco, si fece intervistare da Giovanni Ansaldo, futuro primo direttore del “Mattino” nel secondo dopoguerra e allora giovane giornalista della “Stampa” di Torino. A lui parlò del marito e della sua condizione economica poco agiata. Accadeva già dopo la prima guerra mondiale, che le aveva provocato un altro cataclisma finanziario, lasciandola priva dei suoi investimenti patrimoniali nei fondi austriaci. Aveva perso tutto e fu costretta a vendere la villa parigina, per trasferirsi in una casa di Monaco sulla Ludwigstrasse, di proprietà del fratello Carlo Teodoro. […]
Durante la prima guerra mondiale, quando da cittadina bavarese fu costretta a lasciare Parigi per trasferirsi definitivamente a Monaco, visitava i soldati italiani prigionieri nei campi austriaci.
Quegli uomini si stupivano che la distinta signora si rivolgesse loro in perfetto italiano e lei rispondeva: «Sono una signora che conosce bene Napoli e che imparò da giovane a parlare italiano», informandosi con passione se quei soldati italiani avessero ricevuto la loro razione di brodo. Si commuoveva quando, tra quegli uomini, ne sentiva alcuni con l’accento meridionale e indugiava a parlare con loro. […] Partendo per Monaco, aveva dovuto licenziare gli ultimi tre servitori italiani, che non si poteva più permettere, ed eliminò le piccole sovvenzioni che inviava a ex sudditi fedeli o a strutture di carità, come l’ospizio dei piccoli vetrai a Parigi. Ma, nonostante i tagli alle spese, cercò sempre di non far mancare un po’ di denaro all’anziano Giovanni Tagliaferri, che si era trasferito a Caserta e l’aveva servita sin dai tempi di Gaeta. C’era però anche chi si ricordava sempre di lei, spedendole ogni 4 ottobre per il suo compleanno piccoli regali, come una puntuale cassettina di maccheroni, formaggio e conserve di pomodori, che riceveva dall’anziana duchessa de la Regina, contessa della Macchia. Per farle arrivare il pacco senza difficoltà, superando il controllo della dogana tedesca, la duchessa doveva scriverci sopra la dicitura Liebesgaben, “dono d’amore”.
Negli ultimi anni a Monaco, le sue giornate scorrevano tranquille, con pochi incontri. Ogni sera alle cinque, le faceva visita la sorella Matilde, di soli due anni più piccola di lei, già duchessa di Trani, che abitava all’hotel Vier Jahreszeiten, sulla Maximilianstrasse. Insieme prendevano il tè e ascoltavano la lettura dei giornali dal segretario Luigi Barcellona, che raccontò: «La regina dice che i loro discorsi sono tetri come quel verso di Schiller nella ballata di Rodolfo d’Asburgo, ma lo dice senza rimpianti». Commentò Giovanni Ansaldo: «Maria Sofia è salva dall’oscena vecchiaia, è contemporanea di tutte le generazioni sopravvenute: è la donna senza età dell’antico poema ellenico, lieta e orgogliosa della propria bellezza». A volte rimuoveva il pensiero che la sorella Sissi era morta per mano di un anarchico. Ma era sempre informata sulle principali notizie internazionali, nonostante non potesse permettersi più i tanti giornali che prima comprava. Non si faceva mai mancare però “Le Figaro”, “Les Journal des Débats” o il tedesco “Münchener”. Ad Ansaldo parlò di vicende contemporanee, andando oltre i ricordi del passato: «Ho ottantadue anni. Uno in più dell’onorevole Giolitti. Sono molto vecchia. […] La regina del Belgio, madre di Maria José, è mia nipote, vivace e audace. […] Ho veduto sull’ “Illustration” una fotografia, in cui alcune monache salutano il re d’Italia e Mussolini con il braccio disteso alla romana. Si tratta di un trucco o è esatto questo? Vero che Mussolini cerca di avere ottimi rapporti con il papa?». Fedele interprete del nuovo tempo che avanzava, incontrò anche altri giornalisti, come Concetto Pettinato, cui confidò: «Mi sono abituata all’esilio, a poco a poco. Voglio bene al mio cantuccio quieto, solitario. A Napoli no, non ho più avuto il coraggio di tornare, soffrirei troppo. E poi mi hanno detto che non è più la mia Napoli, così bella. Le strade nuove l’hanno rovinata. Santa Lucia non esiste più. Solo le Regge pare siano rimaste come allora. Capodimonte… Caserta… Il duca d’Aosta le ha rispettate». Le regge borboniche che tanta ammirazione avrebbero suscitato nei turisti in arrivo a Napoli un secolo dopo. Anche Ettore Marroni, il giornalista che si firmava con lo pseudonimo di Bergeret per “La Stampa” e “Il Mattino”, frequentò la casa parigina di Maria Sofia. Fu lui a presentarla a Giovanni Papini, che fece anticamera, in compagnia di altre persone dall’accento meridionale. E anche a Papini, nel breve colloquio che ebbe con lui, la regina disse: «Tutte le dinastie, presto o tardi, sono destinate a finire. Anche l’Italia, a quel che mi dicono, non è tranquilla, né contenta. E chissà che i Savoia non debbano riprendere, un giorno o l’altro, le vie dell’esilio».
Attraversò anche le vicende che portarono al tramonto del mondo degli Asburgo, intravide a distanza l’avvento del fascismo e l’ascesa di Mussolini. Era un altro mondo, ma lo seguiva con curiosità e attenzione. Ad Ansaldo aveva fatto anche delle dichiarazioni che nel pezzo pubblicato sulla “Stampa” erano state censurate perché troppo anti-Savoia. Vennero poi recuperate e pubblicate anni dopo, nel secondo dopoguerra, quando l’Italia era diventata repubblicana, sul “Tempo” di Roma […] Non era donna da aspettare la morte consumandosi in una vita inattiva. La regina, che ispirò Gabriele D’Annunzio, Marcel Proust e i versi di una poesia a Ferdinando Russo, morì il 19 gennaio 1925 di polmonite nella casa di Monaco di Baviera, sulla Ludwigstrasse. Da pochi giorni, Benito Mussolini aveva tenuto il suo famoso discorso in Parlamento, in cui si assumeva la responsabilità morale del delitto di Giacomo Matteotti. […] L’ultima regina delle Due Sicilie portava con sé il mondo della nazione autonoma dei Borbone, iniziato con la regina Maria Amalia. Scrisse Clara Tschudi: «L’ex Regina non ha mai avuto piacere di essere una bambola e disprezza l’arte di farsi rispettare e amare, ma nonostante ciò è una gran dama».
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L’autore
GIGI DI FIORE, storico, già redattore al “Giornale” di Montanelli, è editorialista del “Mattino” di Napoli, di cui è stato inviato (Premio Saint-Vincent per il giornalismo nel 2001; Premio Pedio per la ricerca storica; Premio Melfi per la saggistica; Premio Guido Dorso per gli studi sul Mezzogiorno; Premio Marcello Torre per l’impegno civile). Nelle sue pubblicazioni si occupa prevalentemente di criminalità organizzata, di storia di Napoli e di Risorgimento in relazione ai problemi del Mezzogiorno. Tra i suoi ultimi libri: L’ultimo re di Napoli. L’esilio di Francesco II nell’Italia dei Savoia (2018), Napoletanità. Dai Borbone a Pino Daniele, viaggio nell’anima di un popolo (2019), Pandemia 1836. La guerra dei Borbone contro il colera (2020), Il gerarca che sfidò Mussolini. Aurelio Padovani e il fascismo meridionale (2022) e Storia del Napoli. Una squadra, una città, una fede (2021 e 2023), tutti pubblicati da Utet.