Essere stato testimone oculare e coinvolto da una esondazione in piena regola non so se sia un ‘privilegio’ o una disgrazia per un turista capitato, quasi per caso, nel sobborgo di Paiporta, parte della Comunità Valenziana lo scorso martedì 29 ottobre. Ricordo nitidamente che avevo appena terminato una riunione online di lavoro, quando si cominciò ad avvertire un fruscio proveniente dall’esterno, certamente attutito dall’infisso in vetro, come se stessero scaricando dei liquidi. Attendevo una ex collega per chiacchierare e desinare insieme. Ignaro del pericolo incombente, apro la vetrata per affacciarmi sul balcone che dà sulla Carrer de Sant’Anna e, come in una inaspettata scena cinematografica di terrore, vedo come il lungo viale si riempie d’acqua: dapprima pochi centimetri poi, in breve tempo, questa raggiunge l’altezza delle macchine in sosta a rastrelliera. Inizialmente sembra un torrentello che invade la città a causa delle forti piogge dei giorni precedenti ma che avrebbe concluso presto il proprio ‘corso’. Diverse sono le persone ancora in strada, in maggioranza uomini, i quali, con l’acqua già oltre le ginocchia cercano di prendere qualcosa dalle auto, di riparcheggiarle altrove o di portare a termine una faccenda personale. Qualche sprovveduto sembra finanche divertirsi e prendere la cosa sottogamba. Nell’arco di pochi minuti il livello dell’acqua sale drasticamente. Vedo un uomo cadere e rialzarsi “divertito” come travolto da un’onda marina durante l’estate.
L’impetuosità della corrente aumenta ancora, faccio segno a un passante e aggiungo, in quel po’ di spagnolo appreso a orecchio, che è decisamente più saggio tornare quanto prima a casa…poiché la situazione può degenerare.
Il cielo è plumbeo e oscuro fin dal tardo pomeriggio… trascorre una altra decina di minuti e un fracasso richiama nuovamente la mia attenzione – ero, infatti, rientrato all’interno dell’abitazione. Mi riaffaccio: incredibile a vedersi e a dirsi: la strada non esiste più! È stata inghiottita dalle acque, assomiglia più al letto di un nuovo fiume in piena. La violenza della corrente sbeffeggia, trascina e fa letteralmente volare tutte le sicurezze e vanità umane: auto di ogni tipo e classe, arredi e oggetti di negozi, segnali stradali. Ciò che mi è rimasto più impresso e, credo, rimanga per sempre un ricordo indelebile sono le decine di macchine e furgoni sparati come dei proiettili di grosso calibro in diverse direzioni, così come farebbero dei bambini capricciosi, per dispetto, con dei modellini in una vasca da bagno. Alcuni lampioni e pali della corrente crollano. In quel frangente manca l’elettricità. Salta il collegamento telefonico e internet. Non c’è più acqua dal rubinetto e non ce ne sarà fino al 2 novembre. Una povera donna, forse attardatasi nel suo negozio a pian terreno, si aggrappa disperatamente alla saracinesca posta quasi di fronte al balcone della mia abitazione temporanea. Cercano di soccorrerla alcuni volenterosi e impavidi abitanti del secondo piano di quello stesso edificio, sporgendosi pericolosamente dai parapetti e lanciandole più volte delle lenzuola legate a mo’ di fune come nelle fiabe di Raperonzolo o nei film di avventura. La donna, non più giovanissima, trova la forza di reggersi malgrado la furia sradicante della corrente e i proiettili di materiali vari, tra cui frigoriferi, cassonetti e mobili sparati dal “novello fiume” in piena per ben tre ore. Le uniche fioche luci che trafiggono l’oscurità circostante sono quelle emanate dai telefonini degli improvvisatisi soccorritori del secondo piano e di quelli che come me, di tanto in tanto, per non consumare del tutto le batterie, si affacciano a illuminare quella persona aggrappata alla speranza…
La situazione è davvero seria: può diventare una questione di vita o di morte. Preparo in fretta gli effetti personali, un ricambio e dell’acqua e mi affretto a stiparli nello zainetto. Salgo, quindi, ai piani superiori per controllare se esiste una eventuale via di fuga sulla terrazza. Per fortuna questa è aperta e si trova al quinto piano. Per le scale mi imbatto in una signora anziana del primo piano, la quale ha trovato rifugio presso una giovane famiglia pakistana del quarto piano. La sento esclamare che in 55 anni, cioè da quando abita a Paiporta, un frangente simile non si è mai verificato. Negli ultimi anni il letto del fiume – mostrato più volte in televisione – si era trasformato in un canalone rinsecchito in cui ci portavano a spasso i cani. Nel pomeriggio di quel martedì era riapparso un fiume marrone e fangoso ma nessuno avrebbe potuto immaginarsi la sua imminente e vemente fuoriuscita.
Riscendo al secondo piano, mi affaccio e vedo che l’acqua ha completamente sommerso l’androne e, ovviamente, il piano terra. Nell’oscurità regnante decido di sedermi sul divano, incamerare le forze psico-fisiche e, pronto a ogni evenienza, attendo minuti interminabili… Se l’acqua dovesse arrivare a sommergere il primo piano sarebbe ora di spostarmi ai piani alti e accamparmi lì con qualche provvista alimentare. Mentre rivedo più volte nella mia mente i possibili scenari, anche quelli più tragici, mi affaccio di tanto in tanto per assicurarmi se la persona di fronte è ancora aggrappata alla saracinesca e alle lenzuola… Sarà tratta in salvo più tardi da quegli angeli custodi. A voce alta comincio a imprecare contro l’organizzazione spagnola e il modo in cui la protezione civile o altre forze preposte gestiscono questa catastrofe naturale. Nonostante i solleciti da parte di alcuni abitanti, non riescono a inviare dei soccorsi tempestivi, degli elicotteri, un gommone… ma solo degli inutili messaggi via cellulare di allerta meteo e dei consigli tardivi sulla condotta da tenere! In giro non si vede alcuna squadra operativa! Eppure, le condizioni del cielo avrebbero consentito, a mio, forse inesperto dire, l’invio di elicotteri per tentare di salvare i malcapitati trascinati dalle acque. Scruto ancora il cielo e le oscure acque con la sempre più vana speranza di intravedere un elicottero da ricognizione ma niente! Mi piace credere che la protezione civile, i volontari e le forze militari e dell’ordine in Italia siano più solerti e organizzati in simili frangenti.
Trascorre ancora qualche ora, provo a rilassarmi e rivolgo al Cielo le mie preghiere per coloro che sono in maggiore difficoltà e per tutti noi. D’un tratto sento bussare alla porta. Sussulto. Mi rendo conto di essermi appisolato per qualche tempo. Forse l’acqua ha già raggiunto il secondo piano e mi avvisano?! Per mia sorpresa è la mia ex collega che è riuscita a raggiungermi, munita di stivaloni, attraverso un mare di fango color nocciolato, il quale si è gradualmente sostituito ai torrenti di acqua. Intuisco: pericolo scampato!
Non racconterò quanto già riportato dai media spagnoli e internazionali nei giorni successivi alla tragedia e alle polemiche contro chi ha gestito l’emergenza. Resto, però, ammirato dal coraggio e spirito di solidarietà della popolazione nell’aiutarsi a vicenda, nel ripulire le strade armati di pazienza, vanghe e ramazze, nella distribuzione di cibo e vivande. Questi ultimi sono state inizialmente sottratti inzuppati di acqua e fango dai supermercati semidistrutti (Mercadona, Dia, Consum ecc.) poiché la popolazione locale – tra cui chi scrive – è rimasta per quasi una giornata deprivata dei beni di prima necessità.
I soccorsi ora ci sono, forse anche troppi, al pari dell’attenzione dei media. Ci si chiede se sia ora davvero così impellente!?