Ma per tornare alla dialettica, com’era essa nata e che cosa è poi diventata? Era nata per spazzar via il dualismo del positivo e del negativo, del vero e dell’errore, della vita e della morte, del bene e del male, e per ciò aveva per i suoi termini le forme, le categorie, i valori dello spirito, il vero, il bello, il bene, l’adatto al fine, e i loro contrari, e per ciò era, nell’atto stesso, distinzione di queste forme e trapasso dall’una all’altra, divenire, attraverso il purgatorio o l’inferno del niente, o come altro si chiami il potente-impotente negativo dell’essere, per modo che l’uomo a ogni istante conquista il bene, il bello, l’utile, il vero, e a ogni istante è a rischio di perderlo se non ne acquista un altro nuovo, come gli è comandato dalla sua spirituale natura. Ma questo carattere categoriale e questa distinzione intrinseca alla dialettica si sono obliterati in Lei, nel corso della costruzione del sistema, nel quale ha dialettizzato il non dialettizzatile, i concetti empirici e i collettivi processi storici, con un dialettizzare arbitrario e di mera formula… Benedetto Croce, Indagini su Hegel, Adelphi, pag. 119.
Il volume, ottimamente curato da Michele Ciliberto, è intricante e risolutivo di molte questioni “hegeliane” che riguardano sia il pensiero di Croce sia la stessa filosofia, o meglio la percezione di una certa filosofia, in special modo quella hegeliana, in un ben determinato periodo storico. Il libro ha uno splendido, perché esaustivo, testo d’introduzione del curatore, dal titolo “Croce e il suo doppio”, che inficerebbe qualsiasi altro commento o narrazione su quella che è una vera è propria novella, o ghiribizzo, per usare la parola dello stesso Croce, che l’autore, nei suoi ultimi anni di vita, sente la necessità di dover scrivere per “opporsi” a due monografie su Hegel che erano appena state pubblicate da due dotti intellettuali, Martinelli e De Ruggiero. Come appunta Ciliberto, Croce la scrive a ottantadue anni, in un momento per lui cruciale: mentre si sta interrogando su se stesso e sul lavoro che ha svolto nella sua vita, ma con la consapevolezza – da qui il tono della novella, che è anche una sorta di commiato – di essere ormai arrivato alla fine di un lungo viaggio.
La breve novella “Una pagina sconosciuta degli ultimi mesi della vita di Hegel” è anche la parte centrale del libro che si completa con il testo “Hegel e l’origine della dialettica”. Veniamo alla novella, parla di un giovane intellettuale napoletano Francesco Sanseverino che sul finire dell’estate del 1831 fa visita a Hegel per esporgli oltre che un’inossidabile devozione, il suo disappunto verso quella parte del sistema, “la filosofia della storia”, che lui ritiene inaccettabile. “…posto il concetto dell’universale concreto, cade la distinzione delle “verità di ragione” e delle “verità di fatto”, essendo ogni verità di ragione e di fatto insieme; e, conseguenza anche d’immensa importanza, cade non solo la separazione ma anche la distinzione di storia e filosofia”. Le pagine sono dense di uno stretto e animato confronto che Croce intrattiene con Hegel. Il giovane Napoletano non è altro che un doppio, come giustamente è indicato nel testo introduttivo di Ciliberto, pertanto, un espediente utile a Croce per defilarsi, e poter in modo migliore, e con più leggerezza letteraria, portare a termine la sua onesta opera di hegeliano convinto ma anche di oppositore di quella dialettica diventata, ormai, sistema. “Anche la sua filosofia comincia a essere nota, ma ahimè, proprio come io non vorrei che fosse: come una sorta di religione razionalizzata, i cui cultori già prendono aria ed accenti sacerdotali e tenderanno a formare una chiesa. È il pericolo che bisogna sventare”. Solo un filosofo dall’animus romanzesco come Croce poteva avere l’audacia di trasformare il serrato confronto con la filosofia di Hegel in una novella (datata 1948), dove ciò che lo attrae e ciò che lo distacca fortemente da Hegel sono compendiati con passione e miracoloso nitore. “Ma la filosofia di Lei, concluse l’interlocutore napoletano è tutt’altra cosa: orientata non verso la fisica e la matematica, ma verso la poesia, di cui è il complemento, la religione, di cui è la chiarificazione, e la storia, che ne è la concretezza ed attualità. Con tal sorta d’interessi essa risponde più di ogni altra alla natura della filosofia e al bisogno morale dell’età moderna”.
Croce, in veste di un pensatore napoletano, sa essere chiaro quanto poco formale, erudito o cavilloso. D’altra parte, Napoli non è un paradiso abitato da diavoli, com’era solito dire il filosofo di Pescasseroli citando Goethe, ma nelle sue fucine vi nascevano pensatori e filosofi liberi. Il giovane Sanseverino, allora, non ha remore, e rivolgendosi a Hegel, che lo ascolta entusiasta parlare della sua filosofia come di un’opera grandiosa e innovativa, dice: “È il metodo? Il metodo che dovrebbe essere quello dialettico e con questo nome si adopera nella costruzione del sistema, non è forse la distruzione della dialettica stessa, se mai si potesse distruggere una grande verità una volta che la mente l’ha fermata e formulata?” Se ne ricava che l’invenzione del ghiribizzo sebbene rientri nelle categorie della letteratura, diventi una riflessione filosofica, si trasformi in quel meditare “poco ozioso” di Croce che, come nel clima del Soliloquio, ci fa apprezzare un pensiero avido di vita e di storia. “Se filosofia e storia s’identificano nell’unità dell’universale concreto, non si può ideare una filosofia che renda filosofica la storia, la quale è già in sé e per sé filosofia”. La storia, la vera ossessione di Croce. La storia come dimensione di un fare concreto e non di una ragione astratta e immobile come la filosofia, a volte, può far credere. L’idea del presente, dei fatti, del divenire è per Croce, come del giovane napoletano della novella, dimensione essenziale di ogni pensiero e, quindi, della filosofia, perché come che sia, scrive Croce a termine della novella, “Hegel ora ci appartiene; e che non ci basti è ovvio effetto del suo appartenerci e del possesso che di lui abbiamo, perché il possesso di un pensiero vale solo perché prepara nuova vita e nuovo pensiero”.
Il vis à vis con Hegel trova maggiore o nuova chiarificazione nel saggio finale scritto da Croce molti anni prima, e dove ci si delizia di qualche frecciatina a Gentile. E dove si può facilmente costatare quanto il pensiero di Croce fosse mobile e originale nella misura di una riconosciuta e aumentata filosofia hegeliana, e di una purificazione o delucidazione di qualche concetto aristotelico ancora oggi poco compreso o, forse, volutamente frainteso. “Ricordo che ci fu chi volle tentare l’arguzia col denominarmi ripetutamente, nella speranza che il suo detto avesse fortuna, “il filosofo delle quattro parole”; ma io gli tolsi subito le speranze con il manifestare la mia meraviglia che egli chiamasse “parole” il Vero, il Buono, il Bello e l’Utile, cioè i valori e gli ideali che al genere umano sono costati fatiche e sangue”.
Benedetto Croce, Indagini su Hegel, Adelphi, pag. 119