4. Da allievi a maestri per un’educazione reciproca all’autogoverno

Intellettuali-masse è un rapporto egemonico, ma anche pedagogico, ed è così che l'Egemonia incrocia i concetti di Democrazia, Stato etico e Società regolata, recuperando in parte la tradizione teleologica kantiana. Il saggio di Alberto Granese si conclude così, descrivendo lo scatto utopico-regolativo di un'Egemonia intesa come educazione reciproca all’autogoverno

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L’autore del saggio, Alberto Granese, critico letterario e storico della letteratura italiana

Ecco la quarta ed ultima parte del saggio del professore Alberto Granese sull’Egemonia gramsciana, uno studio che è stato accolto con grande interesse e unanimi consensi dai nostri lettori, non soltanto nel mondo accademico. Siamo, pertanto, grati all’illustre studioso che ha affidato a RQ-Resistenze Quotidiane la sua interessante e innovativa ricerca su un maestro del pensiero contemporaneo ancora così attuale.

9. Il rapporto egemonico intellettuali-masse come rapporto pedagogico: il passaggio da allievi a maestri, da governati a governanti, da diretti a dirigenti

Se, infatti, dal livello antropologico del discorso gramsciano si passa a quello etico-educativo, si ritrova diversamente motivata, ma sostanzialmente inalterata, questa concezione dell’autentico rapporto egemonico che si dovrebbe realizzare in un nuovo “blocco storico”, in cui, attraverso uno Stato nuovo, una diversa “società civile”, si crei un «uomo nuovo», che abbia profondamente vissuto una grande trasformazione, una «riforma intellettuale e morale». Dalle note sui problemi educativi e sull’organizzazione della cultura si possono già enucleare una serie di indicazioni strategiche, valide anche in sede politica, per l’indubbia centralità che le riflessioni sulla scuola hanno nella concezione gramsciana dello Stato.

Il rapporto egemonico è inteso, infatti, proprio come rapporto educativo, non limitato ai rapporti specificamente “scolastici”, ma esteso complessivamente a tutta la società: «Per ogni individuo rispetto ad altri individui, tra ceti intellettuali e non intellettuali, tra governanti e governati, tra élites e seguaci, tra dirigenti e diretti» (Q., 1331). Il rapporto egemonico si verifica, non solo tra «le diverse forze» che agiscono all’interno di uno Stato, ma anche «nell’intero campo internazionale»: il rapporto egemonico, inteso come rapporto pedagogico, è perciò totale, abbraccia ogni sfera dell’attività umana, da quella “molecolare” alla “complessa”. Una volta stabilita l’uguaglianza (rapporto egemonico = rapporto educativo), Gramsci ritorna sul significato particolare che attribuisce al concetto e alla “pratica pedagogica”, con affermazioni pressoché analoghe a quelle del rapporto tra filosofia della prassi ed elementi folclorici progressivi, ossia al criterio metodologico della dialettica tra spontaneità e disciplina o direzione consapevole. Infatti, il «nuovo tipo di filosofo», definito «filosofo democratico», è chi stabilisce un «rapporto attivo tra lui e l’ambiente culturale che egli vuole modificare, ambiente che reagisce sul filosofo e, costringendolo a una continua autocritica, funziona da “maestro”» (ibid.).

Il rapporto tra “filosofo democratico” e ambiente ritorna in termini analoghi in un’altra osservazione sul rapporto intellettuale-masse. «L’elemento popolare “sente”, ma non sempre comprende o sa; l’elemento intellettuale “sa”, ma non sempre comprende e specialmente “sente”» (Q., 1505). La nota illuminante di Gramsci chiarisce, in due densi periodi, gli aspetti regressivi, burocratico-formali (e, quindi, repressivi e autoritari) tra intellettuali e masse, dirigenti e diretti, e quelli progressivi del “blocco storico”, in cui «si realizza la vita di insieme», l’autentica forza sociale, dal momento che gli elementi spontanei del “sentimento-passione” si sono autotrasformati, sono diventati «comprensione e quindi sapere», permettendo l’attuazione dello “scambio“ tra governati e governanti. È questa la prefigurazione pregnante e significativa del nuovo tipo di rapporto egemonico che dovrebbe realizzarsi in una società veramente umana e giusta, il cui centro propulsore verrebbe a essere costituito dalla “scuola creativa”, nella quale «il rapporto tra maestro e scolaro è un rapporto attivo, di relazioni reciproche e pertanto ogni maestro è sempre scolaro e ogni scolaro maestro» (Q., 1331). Tutta una serie di affermazioni, dunque, in cui, ogni volta che si tratta di definire il rapporto egemonico, ritornano i concetti di “scambio”, di “relazioni reciproche” che si stabiliscono in tutti i livelli di “blocco storico”, nell’uomo, nella società, nella scuola.

Il rapporto egemonico-pedagogico è azione reciproca, perché l’intellettuale-maestro non è un’entità chiusa in sé e già data una volta per sempre, ma si modifica e si sviluppa insieme con l’allievo-massa: l’egemonia, non è un punto di arrivo preciso, in cui un dato processo si ferma e si cristallizza, ma è un fattore dinamico, sottoposto a continua trasformazione e verifica. Il maestro (e, quindi, l’intellettuale, il dirigente) è un “blocco storico” che continuamente si rinnova e si arricchisce attraverso gli stimoli provocati dallo scolaro (massa, governato, diretto) che, a sua volta, sotto la guida di quello, autodisciplina e organizza in forme sistematiche gli elementi progressivi dell’ambiente folclorico, depurandoli dagli strati regressivi e “fossilizzati” e dagli aspetti degradati e incoerenti del “senso comune”. In questa scuola, che Gramsci chiama «creativa», dopo una prima fase, in cui prevalgono la disciplina e un certo «conformismo dinamico», cioè attivo, la personalità dell’allievo si abitua a essere «autonoma e responsabile» nella fase più propriamente “creativa”, perché lo scopo della “scuola unitaria”, proposta dal pensatore sardo, è quello di sviluppare «l’autodisciplina intellettuale e l’autonomia morale» di ogni cittadino. La sua ispirazione profondamente democratica non può solo significare che un operaio manovale diventa qualificato, ma che ogni “cittadino” può diventare “governante” e che la società lo pone, sia pure “astrattamente”, nelle condizioni generali di poterlo diventare; la democrazia politica tende a far coincidere governanti e governati. (Q., 1547)

Dinanzi a simili affermazioni, che non vogliamo proporre di considerare in sé, estrapolate dal contesto generale, ma che ci stiamo sforzando di collegare sempre a tutto l’insieme delle note del carcere, si stenta ancora a credere come sia stato possibile definire «autoritario» il pensiero educativo di Antonio Gramsci. E se, tenendo presenti il principio generale della “convertibilità”, valido soprattutto per la filosofia della prassi, e quello analogo della “traducibilità” dei linguaggi specifici, dal livello educativo si passa alla sfera politica, tutte le riflessioni gramsciane sul partito politico e sullo Stato, convergendo nel punto focale dell’egemonia, dovrebbero confermare la nostra ipotesi interpretativa sul suo significato più attendibile.

Il problema del “partito politico” è, infatti, direttamente collegato a quello della scuola e dell’organizzazione della cultura, perché in esso è fondamentale «la funzione, che è direttiva e organizzativa, cioè educativa, cioè intellettuale»; in tal senso, nel partito-«intellettuale collettivo», tutti i membri devono «essere considerati come intellettuali» (Q., 1523). Il partito «compie la stessa funzione che compie lo Stato in misura più vasta» e, quindi, deve «elaborare i propri componenti […] fino a farli diventare intellettuali politici qualificati, dirigenti, organizzatori di tutte le attività e le funzioni inerenti all’organico sviluppo di una società integrale, civile e politica» (Q., 1522). Nel “partito politico”, inteso come “blocco storico”, il rapporto egemonico dirigenti-diretti è essenzialmente un rapporto educativo, le cui fondamentali componenti di “reciprocità” e di “scambio” devono stimolare e organizzare il progressivo passaggio dei diretti a dirigenti: «Quando il partito è progressivo esso funziona “democraticamente” (nel senso di un centralismo democratico), quando il partito è regressivo, esso funziona “burocraticamente” (nel senso di un centralismo burocratico)» (Q., 1692).

  1. La Libertà organica e l’originale recupero della concezione teleologica kantiana: Egemonia e Democrazia, Stato etico e Società regolata

Il momento complessivo e generale del rapporto egemonico è rappresentato dallo Stato che, come abbiamo visto, si articola in “soetà civile” e “società politica”. Distinzione, si è detto, non “effettuale”, cioè concretamente verificatasi nella storia, ma metodologica, per l’indubbio primato che in Gramsci ha la “società civile”, nel cui ambito si diffonde l’ideologia, come concezione del mondo e, attraverso la formazione del “blocco storico”, si sviluppa il rapporto egemonico. Se la “società politica” è predominante, come nelle società orientali, deve cedere il posto alla “società civile”. Il governo della burocrazia statale, il suo controllo repressivo e oppressivo sui cittadini dovranno essere transitori, in quanto una fase di statolatria, «abbandonata a sé», diventa «fanatismo teorico», «deve essere criticata, appunto perché si sviluppi, e produca nuove forme di vita statale» (Q., 1020). La “società politica” dovrà progressivamente scomparire per cedere il posto, in una società senza classi, alla sola “società civile”.

In Gramsci ritorna la teoria marxiana dell’estinzione dello Stato: «Solo il gruppo sociale, che pone la fine dello Stato e di se stesso come fine da raggiungere, può creare uno Stato etico» (Q., 1050). L’apparato coercitivo dello Stato dovrà ridurre «gradatamente i suoi interventi autoritari e coattivi», dovrà essere «passibile tendenzialmente di esaurimento o di risoluzione nella società regolata», cioè nella “società civile”, non per creare un nuovo tipo di «liberalismo», ma «un’èra di libertà organica» (Q., 764), nella quale «l’iniziativa degli individui e dei gruppi sia “statale”, anche se non dovuta al “governo dei funzionari” (far diventare “spontanea” la vita statale)» (Q., 1020-1021).

Oltre che la fine dello Stato, Gramsci ritiene possibile anche quella del “partito politico” – «è evidente che per il partito che si propone di annullare la divisione in classi, la sua perfezione e compiutezza consiste nel non esistere più perché non esistono classi e quindi loro espressioni» (Q., 1732-1733) – e della stessa filosofia della prassi – «se si dimostra che le contraddizioni spariranno, si dimostra implicitamente che sparirà, cioè verrà superata, anche la filosofia della prassi» (Q., 1488) –, perché ogni autentica “democrazia politica” dovrebbe tendere «a far coincidere governanti e governati» (Q., 1547). In una nota di Q 8 (1931-32), Egemonia e democrazia, si afferma che, tra i diversi e molteplici significati di democrazia, «quello più realistico e concreto» è connesso al concetto di egemonia. «Nel sistema egemonico, esiste democrazia tra il gruppo dirigente e i gruppi diretti, nella misura in cui [lo sviluppo dell’economia e quindi] la legislazione [che esprime tale sviluppo] favorisce il passaggio [molecolare] dai gruppi diretti al gruppo dirigente» (Q., 1056). Nel “blocco storico”, nello Stato di tipo nuovo, l’egemonia, non solo è accompagnata al concetto di democrazia, ma ritorna ancora una volta nei termini di dialettica, di “scambio”, di “reciprocità”; il rapporto egemonico, come nella scuola e nella vita interna del “partito politico”, è rapporto educativo, inteso come educazione alla spontaneità, anche all’interno dello Stato: la dialettica spontaneità / direzione si risolve in un’autoeducazione («far diventare “spontanea” la vita statale»), che prepara l’avvento della “società regolata” e dell’autogoverno di ogni cittadino.

Si potrà disquisire se in queste affermazioni di Gramsci ci sia o no del realismo politico, se ci sia o no del messianismo utopico. Noi riteniamo, invece, che, indipendentemente dalla effettiva realizzazione storica della società autoregolata, la sua funzione di “postulato” è di grandissima importanza, proprio perché è utile a farci capire meglio il concetto di egemonia. Essa ha, quindi, un valore teleologico e regolativo, nel senso indicato da Kant. Infatti, in diversi casi, la teleologia «assume un significato equivoco e mistico. Ma in altri casi essa ha un significato, che, dopo il concetto kantiano della teleologia, può essere sostenuto e giustificato dalla filosofia della praxis» (Q, 1426). Sulla base, quindi, delle stesse affermazioni gramsciane, riteniamo che il motivo utopico-regolativo dell’estinzione dello Stato nella “società civile” riesca a farci comprendere come l’egemonia, che una classe progressiva dovrà realizzare all’interno di un “blocco storico”, non implichi elementi statici, nel senso di un dominio giustificato dal consenso, ma fattori eminentemente dinamici di “reciprocità” e di “scambio” dialettico, tra le varie forze sociali, in un processo organico di autoeducazione reciproca alla libertà. In altri termini, il governante o il dirigente, che voglia realizzare un autentico rapporto egemonico con le masse popolari, pone le premesse della sua negazione come governante e come dirigente, cioè del suo superamento, se egemonia correttamente significa educare le masse popolari ad autogovernarsi.

11.Lo scatto utopico-regolativo: Egemonia come educazione reciproca all’autogoverno

Le precedenti osservazioni analitiche e i relativi raffronti testuali, da cui emergono precise indicazioni strategiche, giustificano, fungendo da referenti già ampiamente indicati, il taglio sintetico che dovremo dare alle conclusioni del nostro discorso.

Gramsci sostiene che ogni espressione umana è un “blocco storico”, a cominciare dall’uomo stesso; e, quindi, la famiglia, la società, la scuola, il partito politico, lo Stato sono dei blocchi storici. Non solo all’interno di ognuno di essi, ma anche dall’uno all’altro di questi livelli, cioè dal livello molecolare a quello totale, dall’uomo allo Stato, si svolge un processo dialettico tra due momenti che, pur assumendo differente nomenclatura, hanno in sostanza lo stesso significato o, meglio, la stessa funzione. Essi si presentano a coppie, costituiscono dei binomi inscindibili, qualsiasi sia il contesto esaminato: struttura / sovrastruttura, contenuto / forma, base economica / istituti politici, necessità / libertà, oggettivo / soggettivo, spontaneità / disciplina, sentire / sapere, ambiente folclorico / concezione ufficiale, scolaro / maestro, masse / intellettuali, diretto / dirigente, governato / governante. Questi due momenti stanno tra di loro in un rapporto dialettico, organico, cioè in un rapporto di equilibrio circolare e non in un rapporto meccanicistico e deterministico, che potrebbe indurre a privilegiare uno solo dei due poli della coppia. In questa dinamica interna consiste in effetti il vero rapporto egemonico: esso organicamente si stabilisce, non solo in ognuno dei blocchi storici, ma anche tra i diversi blocchi, e, quindi, nel “blocco storico” generale, in un processo, al tempo stesso, “molecolare” e “tutto complesso”.

L’equilibrio non è statico, ma dinamico, nel senso che si stabilisce immediatamente una tensione continua dal primo dei due poli di ogni livello verso il secondo, come se in questo dovesse trasformarsi, pur senza annullare del tutto i suoi elementi costitutivi. Il lievitare della prima sfera del “blocco storico” verso la seconda è designato da Gramsci con il termine aristotelico di «catarsi» che, per il principio generale ermeneutico della “convertibilità”, non è riferibile solo al rapporto struttura / sovrastruttura, ma a ogni membro costitutivo dei binomi, anche a quello, come abbiamo visto, di governato / governante. Il rapporto egemonico è un rapporto essenzialmente organico-dialettico, in cui la tensione catartica rappresenta una costante di direzione verso stadi sempre superiori, di cui l’ultimo è costituito dalla società autoregolata, dall’umanità che si autogoverna.

Risulta evidente che le indicazioni di strategia date da Gramsci sono finalizzate a un rapporto nuovo tra classi dominanti e classi subalterne, in cui la novità strategica consiste proprio nell’abolizione del rapporto stesso, che, pur non potendo realisticamente scomparire subito e tutto in una volta, va, però, costantemente spinto verso la sua totale estinzione finalizzata all’autogoverno di tutti i cittadini. Siamo agli antipodi di quanto è stato storicamente realizzato da altre forme di stato e di governo, anche di quelle liberali, democratiche, parlamentari e costituzionali delle società borghesi, che Gramsci non pensa di prendere completamente a modello, proprio perché le garanzie formali da queste offerte sono prive (o comunque non hanno mai raggiunto) la garanzia sostanziale, che consiste nell’educare le masse a raggiungere una autentica capacità di autogoverno.

Sulla base di queste considerazioni, allora, l’egemonia, intesa come dialettica organica tra elementi spontanei e forme strutturate e consapevoli in tutti i livelli del “blocco storico”, dall’uomo allo Stato, come reciprocità molecolare tra diretto e dirigente, governato e governante, è educazione alla libertà, all’autodecisione e all’autogoverno. In questo senso, l’indicazione strategica di Gramsci è proposta di lotta per una «riforma intellettuale e morale». Solo esplicitando tutta la complessità semantica di concetti come “società civile”, “catarsi”, “dialettica”, si può interpretare correttamente il significato di egemonia, che ruota proprio intorno a queste idee-base, assolutamente diverse, nel senso e nel fine, dai modelli classici politicamente realizzati dalle società borghesi. Attraverso una corretta ermeneutica, è possibile avvertire in ogni pagina delle note e delle lettere di Gramsci una profonda ansia di libertà, una grande tensione utopica e regolativa, non fine a se stessa, ma calata nella praxis del partito politico, inteso come organizzatore ed educatore per costruire una società in cui ogni individuo possa decidere e gestire autonomamente la propria esistenza.

Egemonia non può esservi, senza il concorso e il contributo di vari gruppi sociali, in un continuo confronto di posizioni, che dovranno essere necessariamente diverse, in un rapporto dialettico di consenso / dissenso, in un equilibrio, infine, inteso, non come cristallizzazione di forze antagoniste per restaurare mortificanti conformismi, ma come tensione dinamica di fattori sociali differenti, che stabiliscono tra di loro un nesso organico di interscambio e di “reciprocità”, liberandosi «dalla prigione delle ideologie», dal «cieco fanatismo ideologico» e, quindi, ponendosi «da un punto di vista “critico”» (Q., 1263). Rapporto autenticamente egemonico è rapporto di educazione reciproca alla libertà, di autoeducazione alla partecipazione democratica e alle scelte di governo, attraverso un passaggio molecolare delle masse popolari da governate a governanti. Il “blocco storico”, in cui si crea un rapporto egemonico di questo tipo, cioè polarizzato in senso teleologico-regolativo verso una società democratica basata sull’autogoverno, è un “blocco storico” progressivo; mentre, quello in cui la direzione delle componenti sociali segue il percorso inverso e la stessa egemonia tende inesorabilmente a trasformarsi in semplice maschera e giustificazione del dominio (fino a divenire, in tempi di crisi organica, una dittatura vera e propria), deve considerarsi un “blocco storico” regressivo. In tal senso, il tipo di egemonia che questo ha adottato è anche un parametro interpretativo per capire e definire le qualità etico-politiche e socioeducative del blocco sociale stesso.

Il concetto di egemonia in Gramsci non è, perciò, univoco, ma plurivalente; non esiste un solo tipo di egemonia, perché se ne possono creare diversi modelli, di volta in volta suggeriti dalle irripetibili situazioni storiche. Egemonia non è ipostasi platonica, categoria genericamente universale; società auto-diretta non è iperuranio, mondo delle idee. L’una e l’altra dovrebbero, però, indicare, in qualsiasi momento storico; la direzione progressiva per ogni società che si ponga seriamente il compito di mettere fine allo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Volerle interpretare come manifestazioni di messianismo velleitario significa fare un grave torto a un pensatore che aveva un senso profondo della concretezza storica e dell’unicità dei suoi momenti; e, al contrario, ridurre Gramsci a passivo registratore del «dato di fatto» significa non comprendere l’inquieta tensione del suo pensiero, erede (con un senso straordinariamente preciso delle continuità e delle rotture) degli elementi progressivi e democratici, espressi dalle rivoluzioni borghesi.

(4 – fine)

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3. Così le masse prendono coscienza della presenza nella storia