15-20 giugno 2024. Kyiv
Da sabato 15 giugno a oggi, 20 giugno, Kyiv sembra aver riacquistato il suo splendore prebellico: aiuole con svariati motivi floreali, geometrici e commemorativi; il consueto passeggio lungo Xreščatyk [1]; i giocatori di scacchi all’aperto che tacciono assorti o sbofonchiano a voce alta nel centrale Parco intitolato al vate nazionale Taras Ševčenko, fiancheggiato dagli storici edifici della gloriosa e omonima università.
L’atmosfera è serena, al pari del tipico cielo azzurro con tonalità celesti d’Ucraina. Lo stato di guerra si intravede solo dalle numerose uniformi militari che si aggirano per la città; dalle fitte bandierine giallo-blu accalcate le une sulle altre in un angolo apposito – un tempo dedicato a motivi floreali – dell’ormai nota Majdan.
Sembra quasi una piazza in festa. Ma, tra una bandierina e l’altra, si stagliano, nel sole splendente, le foto dei militari, come una funesta rievocazione delle fosse comuni con i nomi dei caduti.
Ma non basta. Manipoli di polizia militare ben armati si appostano nei sottopassaggi della metropolitana. Sono a caccia spietata di nuove reclute e di renitenti alla chiamata alle armi. L’apporto di questi ultimi, mai come ora, è indispensabile come l’acqua. Le nuove reclute servono a rinvigorire un fronte ormai psicologicamente esausto dalla fatica e dal lento ricambio. Una delle differenze sostanziali con la Federazione Russa consiste proprio nella quantità di uomini che questa manda allo sbaraglio come i numeretti di un Risiko, facendosi forza del serbatoio umano che è di quattro, cinque volte superiore a quello ucraino.
Indiscrezioni rivelano che il Cremlino, dopo un indottrinamento “antinazista”, invii al fronte soprattutto uomini di nazionalità euro-asiatiche o russi etnici provenienti dagli angoli più remoti del suo immenso territorio. L’impiego di etnie non russe avrebbe il duplice scopo di ridurne il numero e, allo stesso tempo, prevenirne eventuali spinte secessionistiche. Inoltre, questa scelta di campo salvaguarderebbe i russi etnici delle grandi città della Russia europea, i quali non sarebbero sufficientemente motivati a combattere in Ucraina a causa degli storici legami di ‘amicizia’ o di parentela.
L’inaspettata mancanza di elettricità per alcune ore consecutive – che comporta l’assenza di luce, l’impossibilità di adoperare fornelli elettrici, in alcuni casi internet, salire al quindicesimo piano senza ascensore e altri disagi correlati – impedisce di ordinare finanche un agognato caffè espresso (dal gusto asprigno e dall’aroma bruciacchiato) in uno dei numerosi chioschi o bar che affollano le strade di Kyiv. La rinunzia imposta a un siffatto, semplice piacere rammenta agli smemorati e distratti visitatori che il Paese è in uno stato di guerra permanente.
Nondimeno, Kyiv, confrontata con la realtà surreale di alcune città dell’Ucraina orientale – quali, ad esempio, Xarkiv (Kharkiv) –malgrado i frequenti attacchi notturni di droni e di missili, simili al sottofondo sonoro di un film di guerra trasformatosi in realtà, sembra indugiare tranquilla sotto lo scudo protettivo del suo potente patrono: l’Arcangelo Michele. [Breve inciso: proprio per questo, la distruzione di un’ala dell’ospedale pediatrico di Okhmatdyt dell’otto luglio sembra aver parecchio turbato lo spirito indomito di numerosi kyiviani].
Anche se la lingua ucraina è d’obbligo nei luoghi pubblici, il russo o, sovente, la sua varietà ucraina, continua a risuonare nelle conversazioni all’aperto, nei locali privati e nei luoghi più disparati, senza turbare minimamente il passante di turno. Ciò vale anche per le città dell’Ucraina occidentale, arricchitesi di parlanti provenienti dall’Est del Paese. Questo atteggiamento disinvolto e non conflittuale verso le diverse lingue che compongono una parte del mosaico etnico dell’Ucraina conferma, una volta di più, il modo in cui la lingua sia spesso utilizzata come strumento di propaganda politica e militare.
26 giugno 2024
Chi attraversa l’Ucraina trasversalmente – dai confini più occidentali fino a Kyiv, passando per L’viv, Rivne oppure Luc’k e Žytomyr – potenzialmente ignaro del conflitto bellico in atto, può avere l’impressione di un Paese apparentemente pacifico nel pieno rigoglio verdeggiante d’inizio estate. Tuttavia, a un osservatore attento non sfugge la moltitudine di invalidi di guerra privi di uno o più arti. A differenza dei loro commilitoni in spirito della guerra del 1914-18, hanno il vantaggio di usufruire, finanze permettendo, di protesi sostitutive più o meno tecnologiche.
Anche i villaggi posti lungo il percorso rivelano la stessa apparente tranquillità atavica: campi estesi di girasoli dalle corolle giallo intenso che fanno capolino al sole, motivi floreali, variopinte casupole in legno con tetto spiovente, tipiche panchine in legno lungo i bordi dell’unica via maestra per il raduno e chiacchiericcio serale, animali da allevamento e volatili che gironzolano in piena libertà. Eppure, le piazzette o le bacheche del consiglio rurale (comunale) sono tappezzati di poster e foto con dediche e volti di uomini e alcune donne. Taluni volti sono così espressivi e veri che sembrano sussurrare ai passanti: “è grazie al nostro sacrificio umano al fronte che la pace e la relativa tranquillità di cui tuttora godete vi viene ancora garantita”!
Si nota sgomento tra gli uomini di ogni età, professione ed estrazione sociale: le ronde della polizia militare o la convocazione coercitiva al “vijs’komat” (abbreviazione per “commissariato militare”) potrebbero in qualsiasi momento arruolarli e, dopo una breve preparazione, inviarli a rinforzare i vari punti caldi del fronte.
Il contrasto più palese è quello della bella vita condotta dai rampolli della capitale o di alcune città maggiori dell’Ucraina e il resto della popolazione maschile. Questi vitelloni, figli di papà semi-oligarchi o mafiosetti locali, continuano a sfrecciare con l’arroganza di sempre (aggiunta alla minacciosità di frustrati dalle limitazioni imposte da un Paese in guerra) nei loro bolidi extra lusso – quelli che chi scrive da tempo definisce, per i costi esorbitanti, “appartamenti ambulanti” (in ucraino: xodjači kvartyry [calco dal russo]) – o nelle fuoriserie potenziate dai vetri oscurati, con la musica ad alto volume. Somigliano un po’ a quei “cafoni” dell’entroterra napoletano che si aggiravano nelle piazze dei paesi vesuviani tra gli anni Settanta e Ottanta dello scorso secolo. Tutto questo mentre i cittadini meno fortunati – che non hanno avuto la possibilità economica (o le conoscenze giuste) per comprarsi la libertà e affrancarsi, quindi, dall’arruolamento obbligatorio, proprio come gli schiavi dell’antica Roma – sono sottoposti a coscrizione e inviati al fronte.
La vita serale (ex vita notturna), un tempo non lontano vanto della capitale, si zittisce improvvisamente alle 22.30, sabato incluso. Il coprifuoco inizia sì a mezzanotte, ma i locali che hanno anticipato le proprie attività al tardo pomeriggio devono chiudere e far tacere la musica entro le 23. Anche la comodissima metropolitana, orgoglio sovietico e di gran lunga più funzionale di qualsiasi metropolitana italiana, chiude i battenti-rifugio intorno a quell’ora. Girovagare dopo la mezzanotte per tutti i cittadini tra i venti e i sessant’anni, soprattutto di sesso maschile, può essere azzardato e finanche letale.
28 giugno 2024
Prima di lasciare a malincuore, per esigenze lavorative, il Paese (che, per chi scrive rappresenta una sorta di seconda Patria adottiva), non si può evitare di riflettere – anche sulla base delle testimonianze oculari, dei racconti di sopravvissuti e dignitosi invalidi forti in spirito e, in taluni casi, nella fede – su quale sia la reale gravità della situazione nelle zone dove si susseguono i veri combattimenti e i fragori delle esplosioni non lasciano scampo. Infatti, le deflagrazioni, oltre a terrorizzare i bambini, atterriscono anche gli animali domestici fino a provocarne la morte per arresto cardiaco (fatti avvenuti anche a Kyiv e in città lontane dal fronte). L’incombente e costante pericolo si avverte lungo tutta l’Ucraina orientale e meridionale. Tradotta in toponimi, si tratta della regione di Xarkiv, di quelle di Luhans’k e Donec’k (il cosiddetto Donbas), ove il lungo contenzioso dura dal 2014, la regione di Xerson e la fascia costiera meridionale tra Mykolaїv e Odesa. Occasionalmente l’imminente rischio si percepisce nelle regioni nordorientali di Sumy e Černihiv.
Sulla via del ritorno, ripassando per Leopoli e, confrontando quest’ultima con Kyiv, si osserva un maggior ottimismo ed ‘entusiasmo’ rispetto alla capitale. L’viv è una città, come già ricordato, in pieno fermento economico, oltreché culturale. A questa ‘leggerezza’ contribuiscono gli uomini d’affari provenienti dalle regioni orientali che hanno trasferito ingenti capitali in questa parte di Ucraina, i turisti e le comunità di stranieri, per lo più europei, stanziatisi qui in pianta più o meno stabile.
L’atmosfera si può tuttavia incupire repentinamente nei pressi di alcune chiese monumentali del centro, quando i feretri dei caduti in battaglia escono dai portali delle cattedrali in serie – riportando alla mente quella oramai infausta scena di Bergamo durante la pandemia del corona virus – una banda militare intona il silenzio mentre gli astanti si inginocchiano per qualche minuto di raccoglimento e preghiera.
(2 – continua)
[1] È il principale e ampio boulevard (corso) per il passeggio domenicale che unisce alcuni punti nodali della città: Piazza Europa, attraverso Majdan fino al Mercato di Bessarabia per poi proseguire verso la ex piazza Tolstoj (ridenominata di recente piazza degli Eroi Ucraini).