Il conflitto tra i dogmi della religione e la natura dell’adolescenza sono il perno centrale di “Panopticon”, secondo film in concorso alla 54esima edizione del Giffoni Film Festival per la sezione Generators +18 per la regia di George Sikharulidze. Il film è una produzione internazionale che ha visto coinvolta anche l’Italia, e racconta la storia di Sandro, un 19enne georgiano alle prese con l’allontanamento del padre David, che ha scelto di seguire la sua vocazione e diventare un monaco. Il rapporto con gli adulti e il gruppo dei pari verrà distorto attraverso il filtro delle inibizioni religiose del ragazzo, che lo porteranno a cedere a comportamenti distruttivi e autodistruttivi.
Ospiti in Sala Galileo per il confronto con la giuria le attrici Salome Gelenidze e Marita Meskhoradze insieme alla produzione italiana di Ombre Rosse Film Production.
Tra i temi che fanno da filo conduttore al film c’è la scoperta dell’erotismo, vissuto come un tabù inizialmente rappresentato ai limiti del buffo – in una scena, per esempio, il protagonista volta una delle numerose icone cristiane, come per nascondersi alla vista di Dio mentre commette quelli che vengono codificati come “atti impuri”. La repressione, tuttavia, genera mostri: l’ossessione per la purezza porta Sandro a considerare tutte le donne che incontra in un’ottica incredibilmente sessualizzata, da quelle che semplicemente rappresentano un concetto alle donne che fanno effettivamente parte della sua vita. Queste ossessioni e questi limiti portano infatti a creare una frattura profonda nel rapporto tra Sandro e la sua fidanzata, Tina (Gelendize), quando delle avance spontanee e naturali verranno bacchettate come perversione, il tutto mentre nel suo privato Sandro ha un atteggiamento ossessivo nei confronti della donna.
Freud aveva teorizzato quello che in letteratura psicanalitica è stato definito “Madonna-Whore Complex”, un complesso di cui soffrono alcuni uomini che sono inibiti nel desiderare la propria amante, perché pensano a lei come una creatura pura, mentre sfogano il desiderio sessuale – con donne ritenute “inferiori” in quanto sessualmente disponibili – al di fuori della coppia. Nell’ottica di Sandro, Tina è una variabile impazzita, perché essendo un soggetto del desiderio e non un mero oggetto lo priva della percezione di potere assoluto che l’uomo dovrebbe avere sulla donna secondo una visione puramente patriarcale della famiglia all’interno di sistemi religiosi monoteisti.
Il limite di affidare ancora una volta alle donne della vita di Sandro il compito di salvarlo da se stesso e dalla radicalizzazione politica, rappresentata attraverso le ombre pesanti del nazionalismo, è che ancora una volta incasella la donna in un ruolo che le dà il compito di “provvedere” all’educazione di un uomo laddove la famiglia lo abbandona. La vocazione del padre di Sandro appare immediatamente allo spettatore come un atto quasi egoista nei confronti di un figlio che già vive separato dalla madre, lontana per lavoro, e affidato ad una nonna che per età non è in grado di supportare un adolescente come farebbe un genitore. D’altro canto, l’onnipresenza della donna all’interno del film può essere interpretata anche attraverso un’altra chiave di lettura – è Sandro che deve imparare dalle donne della sua vita, al di fuori della limitata visione che ha avuto di loro nei pochi anni in cui ha vissuto.
Il ritmo del film è quello di un viaggio in autobus: rilassato, permette allo spettatore di assorbire l’interiorità del protagonista pur restando a distanza di braccio da lui e dalle ipocrisie che tenta di sbrogliare con i pochi strumenti a sua disposizione. Ma sono gli scossoni, pochi ma fondamentali, il vero sale di quest’opera.