Emilio Isgrò e le spinte che l’amore prende nel tempo trascorso

Cinque sonetti inediti dell'autore che è tra i massimi esponenti italiani della teoria visiva ed è considerato l’ideatore della “Cancellatura”, come nuovo elemento di conservazione e di trasmissione di parole e di immagini. Poeta e romanziere, drammaturgo e traduttore, critico teatrale e d’arte, è stato per molti anni giornalista e inviato all’estero

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Il maestro Emilio Isgrò

Con un evento letterario – la pubblicazione di cinque sonetti inediti del maestro Emilio Isgrò – la rubrica “Lo specchio del poeta”, curata dal professore Vincenzo Salerno, va in vacanza e riprenderà a metà settembre non solo con la presentazione dei testi di altri tra i maggiori poeti contemporanei ma anche con alcune iniziative editoriali che comunicheremo nelle prossime settimane ai nostri lettori.

 

Emilio Isgrò

Emilio Isgrò (Barcellona Pozzo di Gotto, 1937) è tra i massimi esponenti italiani della teoria visiva ed è considerato l’ideatore della “Cancellatura”, come nuovo elemento di conservazione e di trasmissione di parole e di immagini. Poeta e romanziere, drammaturgo e traduttore, critico teatrale e d’arte, è stato per molti anni giornalista e inviato all’estero. Oltre a testi teatrali (si ricordi almeno il volume collettaneo l’Orestea di Gibellina e altri testi per il teatro), ha pubblicato numerose raccolte poetiche (Fiere del Sud, 1956; L’età della ginnastica, 1966; Oratorio dei ladri, 1996; Brindisi all’amico infame, 2003, Sì alla notte, 2023), romanzi (L’avventurosa vita di Emilio Isgrò, 1974; Marta de Rogatiis Johnson, 1977; Polifemo, 1989, Autocurriculum, 2017) e gli scritti teorici raccolti in La cancellatura e altre soluzioni del 2008. Le sue cancellature – su opere d’arte e in libri d’artista – sono esposte in molti musei del mondo, dal MOMA di New York al Museo Reale di Belle Arti di Bruxelles.

 

Fuori scena

Come un fulmine nella prateria

esplode la mia vita nella tua –

coordinata è l’ora che rinvia

il tormento alla data successiva.

 

L’incendio non si estende per la via

che tu vedevi un tempo da una prua

gonfia di pentimento e gelosia –

la tua gonna celeste di bambina

 

condannata per sempre alla deriva.

La tua stabilità non dice niente,

ma dice molto questa tua catena

 

che ti fa più cedevole e più schiva

quando la luna scavalca l’oriente

uscendo per un attimo di scena.

 

Il bacio

Io mi sveglio per dirti che ti amo

nel sonno – e mentre apri la tua bocca

tento di accarezzare con un ramo

di mandorlo la mano che mi tocca.

 

È così caldo il letto dove siamo,

così fredda la notte con la brocca

sul tavolo, che sento il tuo richiamo

come un invito a sciogliere la sciocca

 

penitenza in un bacio devastante

che pènetra nel buio e si distende

nel giorno e nel mattino con un morso.

 

Non t’ho cercato io e non so quante

sono le spinte che l’amore prende

dimenticando il tempo che è trascorso

 

Il padre

Solo i poeti sposano regine

ignote e supplichevoli perché

non sono ancora nate tra le spine

e le preghiere. Solo le bambine

 

con tante voglie in faccia e le manine

più bianche della neve come te

cercano un padre lieve come me

che se le porti in giro dove muore

 

il nido delle api e il fiore vive

della tua gioventù senza derive

fatta di tagli, buchi, angoli bui

 

staccati in una notte di dolore.

Non è con me che siedi e ridi e mangi

a mezzogiorno a tavola. È con lui.

 

Ma è con me che ti nascondi e piangi.

 

Oro colato

Fave e carrube sono i casti doni

che tu riporti a me dal sole bianco

prima che per le anime risuoni

l’ora del pegno che riscatta il banco.

 

Riscattato da te quando mi sproni

a non prestare né il cuore né il fianco

a mille beghe inutili e tensioni

intendo che mi vuoi fuori del branco

 

dove tu sei da sempre per l’orrore

che il ferro si sostituisca all’oro

colato e luminoso del tuo volto.

 

Lo so bene che tu hai già risolto

anche per me il magnifico decoro

che a te dà vita, e a me porta ristoro.

 

Settimino

Ormai son sette mesi che mi porti

nella tua pancia sempre più rotonda

e da come ti muovi e ti comporti

capisco che il mio alluce non sfonda

 

la placenta dei liquidi trasporti

dove scalcia il demonio – e fa la ronda,

là dove l’acqua corporale abbonda,

l’ultimo angelo dei giorni corti

 

che mancano al felice compimento.

Per il parto imminente io ti chiedo

di non avere nessun pentimento.

 

Mentre vengo alla luce e non ti vedo

spero solo che muti sentimento

il padre dell’inferno dove siedo

 

con la testa all’ingiù.

 

Spingimi, amore, non ne posso più

di rimanere al chiuso

con il sole che già mi scalda il muso.[1]

 

[1] I cinque sonetti di Emilio Isgrò sono inediti.

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