Garibaldi, Mazzini e Bixio da una parte, Cavour e Vittorio Emanuele II dall’altra avevano un obiettivo comune, l’Unità d’Italia, e una fede comune, erano tutti massoni anche se di obbedienze diverse; poi erano divisi su mille altre cose, anche fondamentali, soprattutto sul come ed il perché conquistare il Regno di Napoli: i primi erano idealisti unitari e credevano in una sollevazione popolare, i secondi -praticoni- miravano al pingue Erario napoletano per ripianare i debiti del Piemonte.
Tra il Regno di Sardegna e quello di Napoli non c’era nulla in conteso ma a Cavour servivano i soldi, per cui quando Garibaldi riuscì a sollevare i siciliani fece arrivare all’eroe quel famoso dispaccio segreto “Continui la marcia verso Napoli…”.
Sconfitto Franceschiello si doveva in qualche modo giustificare l’invasione del Regno di Napoli, affinché ci si scordasse che non c’era stato alcun motivo politico né di contesa tra Stati per farla, si passò quindi ad una controinformazione fatta da dicerie, storielle e aneddoti farlocchi – oggi le chiamiamo fake news – sui Borbone e su Napoli.
Ricordo che il mio maestro di scuola di tanto in tanto ce ne raccontava una, alcune di queste storielle erano addirittura inserite nel mio Sussidiario a testimonianza che negli anni ’60 queste fandonie erano date come fatti storici. Fortunatamente la ricerca legata ai fatti, dopo il ’70, ha messo le cose al loro vero posto e solo gli analfabeti di ritorno e i celoduristi doc continuano a ripeterli come fatti storici.
Alessandro Luzio, direttore dell’Archivio Sabaudo nel suo “Garibaldi, Cavour e Verdi – Fratelli Bocca-Torino, 1924”, riportò molte storielle e aneddoti farlocchi trovati nell’Archivio, ma forse ne inventò anche di suoi atti a sminuire l’onore dei Borbone, ma poi ci si applicarono in molti altri.
Vediamo qualcuno di questi aneddoti inventati:
“Dove faccio la cacca?”: uno dei più famosi, forse inventata proprio dal Re con i baffoni e raccontata spesso ai pranzi della Venaria Reale, è quello di un napoletano che, giunto al centro di Torino, si lamentava perché non riusciva a trovare un po’ di campagna appartata dove poter fare la cacca; e tutti a ridere per compiacerlo… come se poi i contadini piemontesi mandati a mandrie nelle Americhe dalla sua sciagurata politica economica postunitaria sulle “Navi Bianche” della Compagnia Italiana di Navigazione a Vapore (di proprietà dei Savoia, un bel caso, vero?), usassero farla altrove.
“Sofia di Wittelsbach nuda!”: i livelli di disinformazione dei Savoiardi toccarono più volte l’indecenza; e la cosa continuò anche dopo l’esilio di Re Francesco II a Roma quando un fotomontaggio con il volto della Regina di Napoli apparì sul corpo nudo di Costanza Vaccari prostituta, spia e amante sia del generale francese André De Goyon che del cardinale Xavier De Mérode. Il fatto fu confessato dalla stessa Vaccari e da suo marito che aveva fatto il fotomontaggio; come premio furono liberati dalla Gendarmeria vaticana e -dopo l’ingresso dei Savoia a Roma nel 1870- meritarono anche un vitalizio per l’azione lodevole a favore dei Savoia.
“Facite ammuina”: C’è poi quella notissima, riportata anche nel mio sussidiario delle elementari che, secondo la Storia savoiarda, era uno dei capitoli del regolamento da Cabaret della Marina del Regno di Napoli. Dava disposizioni sul comportamento dei marinai nelle navi quando c’era una visita importante. Anche questa preziosità è stata smentita dalle ricerche… non era altro che una delle tante goliardate messe su in un “Real Regolamento” dagli allievi anziani della “Scuola militare della Nunziatella” intorno al 1840, poi opportunamente ripresa dai savoiardi e spacciata come Regolamento della Marina.
“Il Re Lazzarone”: ce n’erano poi diverse sugli scherzi di Ferdinando II alla prima moglie Maria Cristina di Savoia (guarda caso, proprio una Savoia!) madre di Francesco II. C’era quella titolata da Luzio “il Re Lazzarone”, dove Ferdinando II (da non confondere con il burlone nonno) -che in tanti documenti storici è definito come burbero, serioso e per nulla incline a lazzi e burle, specie verso la moglie che rispettava ma non amava- toglie la sedia da dietro Cristina mentre questa stava sedendo al piano, la Regina casca a terra e esclama la frase storica tanto amata dai Savoia: “Credevo di aver sposato un Re, non un lazzarone”, ovviamente i commenti negativi degli ospiti dei Savoia si sprecavano.
Ma più che gli aneddoti, accertati come metodo di controinformazione contro i Borbone, i Savoia si dedicarono seriamente a ridimensionare la cultura napoletana e falsare le finanze del Regno. E fu così che svilirono la lingua napoletana, una lingua romanza sviluppatasi parallelamente all’Italiano, a rango di dialetto locale, poi fecero secretare tutti i rapporti del 1861-62 di onesti funzionari Savoiardi sulle Finanze del Regno di Napoli e diedero alle stampe solo lo status quo post 1870 quando ormai era stato perpetrato il sistematico impoverimento delle finanze del Regno.
Solo dopo un secolo i ricercatori sono riusciti a trovare testimonianze e note di funzionari piemontesi come Urbano Rattazzi, Giuseppe Massari e Antonio Scialoja che si espressero per iscritto che le finanze del Regno di Napoli “erano in attivo, mentre quelle del Regno di Sardegna in deficit”.
La comunicazione sabauda doveva dare un manto di onorabilità a quella proditoria invasione di un popolo che, avvezzo a vivere in pace, non aveva e non voleva nemici…
Questo 17 marzo è il 163° anniversario e finalmente oggi sappiamo -per merito di Putin, Nihil sub sole novi– che quella non fu una guerra ma “un’operazione speciale” per unire l’Italia… Solo che riuscì subito.